10 anni dell’Enciclica Laudato Si’ per la cura della casa comune

La crisi socio-ambientale delineata da Papa Francesco sembra acuirsi anche a motivo dei conflitti dilaganti

Sono trascorsi dieci anni dalla pubblicazione dell’enciclica di Papa Francesco sulla cura della casa comune. La sua portata innovativa, continua a rappresentare una sfida per la Chiesa e la società. Di fronte a quello che sta accadendo alla nostra casa comune, invita a ripensare in una ampia visione l’importanza della riconciliazione e del dialogo, a tutti i livelli. Per ristabilire un dialogo costruttivo tra uomo e natura.

Quella che comunemente e mediaticamente è stata definita come enciclica “verde”, ecologica tout court non è nulla di tutto questo. Certamente nel testo ritroviamo tutti gli elementi che riflettono lo stato, purtroppo, di degrado, della nostra casa comune soprattutto a livello ambientale: riscaldamento globale, biodiversità, acqua, OGM, inquinamento, esaurimento delle risorse, deforestazione, ecc...
Tutto questo è preoccupante, sembra scrivere Papa Francesco, che assume però il termine ecologia non nel senso generico e talora superficiale ma lo completa in “ecologia integrale”. Lo trasforma in un modello capace di tenere insieme fenomeni e problemi associati all’agenda ecologica in senso stretto ma anche alle dinamiche sociali e istituzionali.

Francesco introduce il concetto del “tutto è in relazione”, “tutto è connesso”: “Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura” (n. 139). Si tratta quindi di rintracciare una radice comune a fenomeni che, presi separatamente, non possono essere davvero compresi. In altre parole, “non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri” (n. 49).

In breve potremmo dire che nel momento in cui siamo sommersi dal paradigma tecnocratico, nel momento in cui stanno prendendo il sopravvento aspetti di frammentazione, di individualismo e indifferenza occorre recuperare una visione e un modus vivendi in grado di reintegrare l’attenzione ai legami e alle relazioni; relazioni interpersonali ma relazione tra popoli, tra le nazioni, tra le questioni e i fenomeni che rischiamo di disintegrare oltre a quello della natura il senso dell’umano.

È necessario quindi non solo giungere ad una integrazione tra globale e locale ma incrementare la relazione (interconnessione ed interdipendenza) di persone, gruppi e istituzioni perché, come recita il punto 219 dell’Enciclica: «non basta che ognuno sia migliore per risolvere una situazione tanto complessa come quella che affronta il mondo attuale. I singoli individui possono perdere la capacità e la libertà di vincere la logica della ragione strumentale e finiscono per soccombere a un consumismo senza etica e senza senso sociale e ambientale. Ai problemi sociali si risponde con reti comunitarie».
La qualità della vita in un determinato territorio è fortemente dipendente dalla qualità globale dello stato dell’ambiente, aria, acqua, suolo. Per vivere bene in un territorio, è necessario l’intervento umano che favorisce il prudente sviluppo del creato prendendosene cura.

Quando Francesco inserisce le serie e appassionate domande quali: «Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?» offre anche una risposta: «Questa domanda non riguarda solo l’ambiente in modo isolato, perché non si può porre la questione in maniera parziale. Quando ci interroghiamo circa il mondo che vogliamo lasciare in eredità, ci riferiamo soprattutto al suo orientamento generale, al suo senso, ai suoi valori. Se non pulsa questa domanda di fondo, non credo che le nostre preoccupazioni ecologiche possano ottenere effetti importanti» (LS 160).
Occorre trasformarsi per trasformare rispondendo a quel “il tutto è superiore della parte” della Evangelii Gaudium 234: «Bisogna prestare attenzione alla dimensione globale per non cadere in una meschinità quotidiana. Al tempo stesso, non è opportuno perdere di vista ciò che è locale, che ci fa camminare con i piedi per terra. Le due cose unite impediscono di cadere in uno di questi due estremi: l’uno, che i cittadini vivano in un universalismo astratto e globalizzante, passeggeri mimetizzati del vagone di coda, che ammirano i fuochi artificiali del mondo, che è di altri, con la bocca aperta e applausi programmati; l’altro, che diventino un museo folkloristico di “eremiti” localisti, condannati a ripetere sempre le stesse cose, incapaci di lasciarsi interpellare da ciò che è diverso e di apprezzare la bellezza che Dio diffonde fuori dai loro confini».