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La lezione di Manuel Bortuzzo

Il suo coraggio e la sua volontà sono uno stimolo per i ragazzi e non solo

La lezione di Manuel Bortuzzo

L’Italia guarda con affetto e condivisione emotiva l’esperienza umana di Manuel Bortuzzo, il 19enne ferito poco più di un mese fa a Roma da un colpo di pistola sparato da due balordi: quel gesto disgraziato e vile ha suscitato sdegno e chiede giustizia. Speriamo che il pentitismo postumo non eviti loro una pena esemplare, francamente siamo stufi di giustificazioni del giorno dopo, di tempeste emotive, di fiaccolate e palloncini liberati al cielo a futura memoria.

Il coraggio e la forza di volontà di Manuel, che fin dal primo momento ha voluto tranquillizzare i suoi genitori, gli amici e tutti coloro che si sono interessati alla sua vicenda, affrontando la prova che il destino gli ha riservato, cercando di rasserenare gli altri senza mai parlare di vendetta e concentrandosi sulle risorse più intime del suo animo e del suo fisico,  hanno qualcosa di stupefacente e di esemplare: sono l’icona di un gladiatore che combatte la diagnosi più infausta, come chi è al centro dell’arena e raccoglie tutte le energie con la certezza di farcela, di uscire vincitore dalla imprevista e dura battaglia che la vita gli ha riservato.

Leggiamo spesso storie di adolescenti inquieti, di giovani irretiti dal buco nero della rete che tutto inghiotte e raramente restituisce speranze, di ragazzi protagonisti in negativo di episodi di bullismo, di comportamenti violenti, di cadute nella droga, di adultismo precoce in senso deteriore: inconsapevolmente ci stiamo abituando ad una immagine negativa della gioventù, prestando il megafono ad aspetti che diffondono sensazioni di inaffidabilità e giudizi affrettati e negativi.

Che cosa sta sorprendendo di questa vicenda fino al punto di commuoverci intimamente?

La reazione immediata di questo ragazzo appena maggiorenne, che coltivava il sogno del nuoto come progetto di vita, che era animato da una determinazione talmente forte da spingerlo a convincere la famiglia a trasferirsi a Roma da Treviso, per dimostrare di possedere doti fisiche e vigore, motivazione, capacità, attitudine alla pratica agonistica di quello sport, che era già entrato nel giro degli atleti più esperti e blasonati e vedeva in loro un esempio e un’esperienza da seguire, imparare, coltivare con dedizione e sacrificio.

La sua capacità di consolare piuttosto che la richiesta di consolazione per sè, la certezza di farcela e “tornare più forte di prima”, una forza interiore straordinaria che alimenta il vigore fisico dell’età, la capacità di tenere un contatto aperto con il mondo, di infondere fiducia, di rassicurare i dubbiosi, di infondere coraggio.

E soprattutto- se posso dirlo – la sua innocenza: affrontare il futuro guardandolo in faccia, senza remore, con quel viso pulito e sorridente.

In un mondo spesso indifferente fino all’ignavia è una grande e bella lezione per tutti.

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