Parrocchie in cammino: la testimonianza di don Stefano Bisio

È Parroco a San Gerolamo, San Giovanni Battista e Santi Angeli Custodi di Quarto

Da qualche tempo Il Cittadino è impegnato ad illustrare i prossimi avvicendamenti di sacerdoti e la nascita di nuove “Fraternità di Parrocchie”, territorialmente vicine e affidate ad un unico parroco, “moderatore della cura pastorale”. Don Stefano Bisio è Parroco a San Gerolamo, San Giovanni Battista e Santi Angeli Custodi di Quarto: tre comunità non costituite propriamente secondo il modello della Fraternità di parrocchie come è proposto nella Lettera Pastorale, ma vicine fra loro e impegnate in un cammino comune.

Don Stefano, da settembre 2019 a Quarto sei parroco di San Gerolamo, San Giovanni Battista e Santi Angeli Custodi. Sei anche Vicario territoriale. Un solo parroco per tre comunità. Come ti sei organizzato?
Ho iniziato il mio servizio come parroco con il compito di accompagnare la vita delle tre comunità, che sono vicine fra di loro. C’è anche una piccola Cappella sulle alture di Quarto, che nei giorni festivi è a servizio delle persone che abitano lì. E c’è la chiesa del Sacro Cuore e San Giovanni Bosco, dove negli ultimi 8 anni è nata una vita fraterna celebrativa intorno all’Eucaristia per le nostre comunità parrocchiali. Il servizio che io posso svolgere da parroco, esercitando il ministero sacerdotale di pastore e padre, è rivolto dunque alla “comunità di parrocchie”. Da un lato devo prendermi cura di ogni parrocchia nella sua singolarità, nella vita legata ai sacramenti, alla formazione, alla carità fraterna, ma è da qui che nasce la possibilità di accompagnare le comunità cristiane ad essere fraterne fra di loro. Nell’esercizio del ministero sacerdotale, avere una comunità di parrocchie può essere considerata una provocazione, per se stessi e per la comunità: per primi infatti dobbiamo testimoniare fra di noi che crediamo in Gesù e nei rapporti che la fede ci fa conoscere. A Quarto non siamo strutturati secondo la “Fraternità di parrocchie”, perché il progetto pastorale delle tre parrocchie è nato negli anni con una continuità di servizio di noi sacerdoti, in un tempo come il nostro in cui la cura delle parrocchie presuppone la relazione fra loro. Questa dimensione affettiva e di relazione viene prima dell’organizzazione. Senza dubbio poi è mia preoccupazione non far mancare l’Eucaristia in nessuna delle Chiese, sia nei giorni feriali che nei festivi. La domenica la S. Messa delle ore 11 da anni è celebrata nella chiesa più grande, quella del Sacro Cuore e San Giovanni Bosco, ed è per la “comunità della comunità di parrocchie”. Si sta quindi creando una fraternità che è il frutto del cammino fatto insieme dalle parrocchie. Per il resto, senza creare cose nuove, ho cercato di dare spazio alla disponibilità di tutti. Esistono gli organismi di partecipazione, e sto convocando assemblee pastorali per ascoltarci e condividere insieme, lavorando poi nello specifico dei singoli gruppi.
Come riesci ad essere presente per tutte le persone che ti cercano, nonostante la molteplicità di impegni?
Il mio primo impegno, dopo quello della celebrazione e della preghiera, è lasciarmi trovare dalle persone. Poi certamente sono sempre condivisi gli impegni relativi all’amministrazione delle tre parrocchie. Credo però che non esista alcuna organizzazione senza l’incontro con le persone; il resto viene da sé. La mia comunità è formata da tre parrocchie con cinque chiese, non molto distanti fra di loro e in un contesto molto simile. Questo è sicuramente un fatto positivo, anche per favorire la conoscenza di questa nuova esperienza di comunità fra le persone sul territorio.
Nelle tue parrocchie sono attivi tanti gruppi, spesso impegnati in iniziative e realtà differenti fra loro. Per citarne solo alcuni, penso a Scout, Azione Cattolica, Neocatecumenali, chi è impegnato nella carità e nell’accoglienza delle famiglie dei bimbi ricoverati al Gaslini. Ci sono spazi di lavoro in comune? Momenti di preghiera e condivisione?
Sì, le realtà sono davvero molteplici e non si limitano a quelle citate nella domanda! Non è mai opportuno secondo me inventarsi cose nuove, ma usare le opportunità che già ci sono per crescere nella vita cristiana e nella conoscenza reciproca. È l’altare il punto di partenza e di arrivo di ogni esperienza associativa e pastorale. Certamente, nei gruppi ci sono momenti specifici, ma non bisogna mai abbandonare la dimensione comunitaria. Da parte mia, sono disponibile, come sacerdote a seguire tutti i gruppi, non uniformando le esperienze ma essendo presente nelle peculiarità.
Recentemente proprio su Il Cittadino hai raccontato l’esperienza dell’Assemblea pastorale, che ha visto riunite le comunità parrocchiali e a cui ha partecipato anche l’Arcivescovo. Come è andata?
L’Assemblea è un invito aperto a tutti i membri delle comunità parrocchiali, per rendersi corresponsabili, conoscendo le realtà presenti e chi le abita. Le Assemblee sono anche momenti di invito a chiunque voglia prendere parte alla vita delle parrocchie. Quest’anno abbiamo “tirato le fila” del cammino intrapreso fin qui e lo abbiamo presentato all’Arcivescovo. Non un punto di arrivo, ma la verifica e la nascita di alcuni passaggi del futuro.
Come ci potresti descrivere la “fraternità” che ogni giorno vivi nelle tue comunità?
È una domanda difficile! Rispondo con la parola “Chiesa”: non si tratta di un metodo da applicare, ma di una disponibilità a farsi trovare, ad essere presente in un contesto più ampio e denso di relazioni. È un atteggiamento che tutti dobbiamo avere, comprendendo quale è l’identità propria del sacerdote e del laico, entrambi chiamati a comprendersi in un’unica famiglia perché rinati nel Battesimo. Da chierichetto, con don Carlo Canepa ho imparato che non bisogna risparmiarsi, guardare il mondo e la Chiesa così come sono oggi, servendo con tutte le forze. Questo vale per il sacerdote e questo vale per il laico, che deve saper attingere dalla propria comunità gli elementi per dire Gesù agli altri in ogni luogo, e allo stesso tempo farsi carico delle realtà in cui opera impostando relazioni buone, senza ambire a ruoli di potere o comando, ma vivendo un’esperienza che faccia alimentare la fraternità.