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Preoccupazione per i dazi doganali

Europa e Cina vittime principali dell’offensiva protezionistica di Trump 

Preoccupazione per i dazi doganali

Il risultato uscito dalle urne sta costringendo i partiti a muoversi per cercare di individuare una soluzione per non cadere nello scenario peggiore che poteva essere ipotizzato e cioè quello dell'ingovernabilità o di un esecutivo a trazione populista senza al tempo stesso tradire le promesse e le scelte di campo fatte durante la campagna elettorale. Si tratta di un momento molto delicato che vede l'Europa sotto shock per il timore che la terza economia dell'eurozona possa essere governata da una coalizione di partiti euroscettici e le forze politiche uscite vittoriose da questa tornata elettorale impegnate nella ricerca di una ragionevole soluzione che non potrà certamente essere quella di un governo debole perennemente sotto pressione per l'approvazione di ogni singolo provvedimento legato ad una maggioranza variabile che di volta in volta potrebbe causare la caduta dell'esecutivo. Tomaso Moro scriveva "non si possono accomodare situazioni politicamente contorte con false soluzioni e artificiosi strumenti" ed oggi, a distanza di tanti secoli, questo resta l'imperativo da seguire per individuare un governo che sia in grado di governare con la rapidità e la determinazione imposta dal rapido mutamento dello scenario internazionale.

L'Europa e la Cina sono le vittime principali dell'offensiva protezionistica del presidente Donald Trump che ha firmato il decreto sui dazi imponendo una tassa del 25 % sulle importazioni di acciaio e del 10 % su quelle di alluminio dichiarando che si tratta di norme per "proteggere i nostri operai e la sicurezza nazionale" e che "sono la conseguenza di una politica economica aggressiva di cui sono stati vittima gli Stati Uniti che hanno subito una concorrenza sleale ed un dumping sottocosto che hanno determinato la perdita di innumerevoli posti di lavoro e la chiusura di molti stabilimenti". Purtroppo però queste normative non colpiscono il vero obbiettivo che è la Cina che è più attiva con industrie all'avanguardia ma l'Europa che opera con industrie in settori "maturi".

 Contemporaneamente il presidente Trump "apre" all'Europa una finestra dichiarando "Vedremo in base ai nostri interessi di sicurezza, quali opzioni alternative ha da offrirci ciascun paese alleato. Valuteremo chi di loro paga il conto per le spese della difesa e chi no" riproponendo un tema non ricevibile che è quello di un presunto insufficiente contributo che molti paesi europei pagherebbero al bilancio della Nato.  Si tratta di una impostazione inaccettabile dal momento che implicherebbe un ulteriori aggravio dei costi per le spese militari che sono già oggi esorbitanti e che andrebbe inevitabilmente ad erodere ulteriormente le già insufficienti risorse destinate a garantire la sopravvivenza delle persone e famiglie in difficoltà che già oggi non sono più in grado di accedere all'assistenza sanitaria ed a condurre una vita che sia almeno sopra la soglia della povertà. Questa nuova corsa agli armamenti e la subdola imposizione a tutti i paesi europei di aumentare il loro contributo alle attività militari della Nato non può essere accettato ed impone un'azione forte da parte delle autorità europee e dei governi dei principali paesi inclusa l'Italia.

 Mario Draghi è intervenuto con toni molto duri, cosa per lui non abituale, condannando le mosse dell'amministrazione Trump sia per quanto concerne i dazi che la deregolamentazione finanziaria. La crescita dell'eurozona è ora messa a rischio dall'aumento del protezionismo e dalla volatilità dei cambi e Draghi ha voluto sottolineare che "le decisioni unilaterali sono pericolose. Siamo preoccupati per lo stato delle relazioni internazionali. Se imponi i dazi ai tuoi alleati, chi sono i tuoi nemici?". Nella stessa occasione ha poi ribadito che per i paesi europei "con debito alto è cruciale mantenere i conti in ordine" ed anche in questo caso solo un esecutivo forte potrà essere in grado di affrontare e gestire questo nuovo scenario politico-economico.

 I paesi dell'eurozona sono anche i grandi assenti, nel loro insieme e singolarmente, nella partita che stanno giocando in Africa Stati Uniti, Russia e Cina che nei giorni scorsi si sono nuovamente riuniti allo Sheraton Hotel di Addis Abeba per delineare le linee strategiche di un piano non coordinato con cui le tre grandi potenze stanno cercando di "colonizzare" una seconda volta l'Africa. Alle parole che mettono in evidenza l'importanza dell'Africa per il commercio, la libertà civica e la buona governance seguono i fatti che sono diametralmente diversi e cioè una politica di concessione di prestiti ai paesi africani a condizioni tali da minacciare la loro stessa sovranità senza che vengano creati reali posti di lavoro e di forniture di armamenti in cambio di concessioni di sfruttamento minerario. Anche in questo caso, nell'inattività e apatia delle istituzioni europee, il nostro nuovo governo dovrebbe diventare il motore di una forte azione a livello comunitario per aiutare questi paesi a crescere e diventare in grado di valutare e decidere da soli che cosa è bene per il futuro del loro popolo e non dover più assistere a quanto accaduto in occasione dello spoglio delle schede elettorali in Sierra Leone con la popolazione che per le strade cantava "Siamo cinesi".

 L'auspicio è che messe da parte tutte le liti e ripicche tra i partiti che hanno ottenuto il maggior consenso elettorale si possa arrivare rapidamente alla nomina di un esecutivo forte che possa contribuire in modo attivo ed importante alle decisioni delle autorità comunitarie e trovare una positiva soluzione a queste sfide.

Fonte: Il Cittadino
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