Tre Fontane, esempio di accoglienza

80 ragazzi immigrati ospitati nella comunità guidata da Don Mario Canepa

Si chiama Kalid, ha 34 anni, è originario del Marocco, parla benissimo l’italiano. Svolge la professione di educatore nella comunità educativa residenziale per minori stranieri a Tre Fontane, nel comune di Montoggio, sulle alture di Genova. Quando è arrivato in Italia nel 2005, è stato accolto proprio qui. Con lui ci sono due fratelli che lavorano come cuochi e un altro fratello ancora molto giovane ospite della comunità. Kalid è sposato, vive a Genova e in Marocco ha i genitori. La sua è una storia ‘come tante’ qua a Tre Fontane e me la racconta mentre mi accompagna a vedere la struttura della comunità, un vero ‘gioiello’ di ordine e cura dei dettagli: le camere, le sale comuni, la cucina, il refettorio, gli spazi esterni, gli orti…“Tutto questo – dice – è stato fatto grazie al grande impegno e all’infaticabile lavoro di Don Mario, lui ha sempre idee per migliorare questo posto!”.
“Don Mario” è Don Mario Canepa, il rettore del Santuario di Tre Fontane, qui da 46 anni e che da 25 guida questa comunità che oggi ospita circa 80 ragazzi tra gli 11 e i 19 anni provenienti prevalentemente dall’Egitto, ma anche dal Marocco e dalla Tunisia. Recentemente, anche l’Arcivescovo ha fatto visita alla comunità.
Don Canepa mi accoglie, circondato dai ragazzi, all’ingresso della Casa e, durante la nostra chiacchierata, ogni tanto risponde al telefono: “È la preside della scuola: fra pochi giorni comincia l’anno scolastico e dobbiamo inserirne qualcuno, mi chiamano per i documenti…”.
I ragazzi arrivano qui indirizzati dalle Questure e dai Servizi Sociali. A Tre Fontane trovano accoglienza e una vera casa! Don Mario e gli altri 13 educatori che lo aiutano nella gestione provvedono a tutto: cibo, vestiti, istruzione.

“Chi deve imparare l’italiano – racconta Francisco, ‘storico’ educatore fin dai primi tempi dell’apertura della Casa – viene suddiviso in gruppi a seconda del livello di apprendimento. Facciamo in modo che, oltre alla scuola, abbiano la possibilità di imparare presto la lingua affinchè possano integrarsi il prima possibile”. “Sono ragazzi come tutti – dice ancora Francisco – hanno i loro sogni, le loro curiosità, al sabato li accompagniamo in centro per commissioni, acquisti, giri e svago. Non manca niente a livello materiale, ma soprattutto imparano a rispettare le regole attraverso l’educazione e il rispetto nei loro confronti”.
Mentre parliamo con Don Mario, tutti i ragazzi che passano vicino a noi lo salutano, “Ciao, don”, e salutano me con un “ciao” e con un sorriso.
“Non chiedo io di salutarmi sempre – sorride Don Mario – sono abituati così, hanno imparato bene l’educazione!”.
Nel raccontarmi la giornata tipo di questi ragazzi, sottolinea che qui nessuno ‘sta con le mani in mano’: c’è chi studia; altri partono molto presto con i mezzi pubblici per andare a lavorare; tutti aiutano nei lavori quotidiani che sono da svolgere per il buon funzionamento della comunità: la pulizia delle camere, il servizio mensa, la cura dell’orto…
Dopo aver sbrigato le attività, ci sono anche occasioni di svago nel bellissimo campetto in erba sintetica o in piscina (all’aperto, ma presto si potrà utilizzare quella al coperto per la stagione invernale).
Don Canepa si occupa personalmente dell’avanzamento dei lavori per l’ampliamento della struttura (con tutto quello che comporta: le ingenti spese da sostenere, i finanziamenti, i conti, le leggi da osservare…) e soprattutto del disbrigo delle complesse pratiche burocratiche per l’inserimento dei ragazzi nella scuola e nel mondo del lavoro. Frequentano la scuola pubblica per ottenere la licenza media, poi usufruiscono di borse lavoro e imparano una professione, trovano un impiego. Quando raggiungono la completa autonomia, lasciano la comunità. “Ma con quasi tutti rimaniamo in contatto – dice il don – tanti hanno lavorato o lavorano qua, come Kalid. Non mi ricordo neanche più il numero dei ragazzi che in tutti questi anni abbiamo ospitato… sono davvero tanti!”.

Non c’è tempo per il riposo: “Io sto sempre con loro, tutti i giorni, dal lunedì alla domenica – continua – e dove dovrei andare? Sono tante le cose di cui ci dobbiamo occupare per far sì che la loro permanenza qui, nonostante le oggettive difficoltà, sia il più possibile serena: in questi anni costruiscono il loro futuro. Sanno bene che si devono impegnare nello studio e nel lavoro, c’è in gioco la loro vita!”.
Con un po’ di curiosità, azzardo una domanda: “Don, ma qui come riescono a convivere cristiani e musulmani?”. “Molto semplice – risponde – all’interno della comunità è vietato pregare! Durante i pasti, leggiamo una preghiera ‘neutra’, ringraziamo per il dono del cibo, preghiamo per la pace, per i poveri, per le nostre famiglie. Ognuno in cuor suo è libero di pregare come vuole, ma non ci sono mai momenti ‘esteriori’, per nessun motivo!”.
Guardo questi ragazzi, i loro sorrisi, i loro giovani volti sereni, i loro occhi che ‘parlano’, la loro educazione e attenzione nei miei confronti (“oggi ti aspettavano: sei un’ospite”!)… davvero commovente. Ma qual è il segreto? “Occorre ‘starci in mezzo’ – mi dice Don Mario – Così si sentono rispettati, accolti, ascoltati… e soprattutto nessuno ha il cellulare! Se lo avessero, si isolerebbero, non parlerebbero, non avrebbero voglia di fare niente… Quando devono fare una telefonata, o ai genitori o ai datori di lavoro, me lo chiedono e faccio fare la telefonata: 5 minuti bastano!”.
Al termine della giornata, tutti insieme nelle sale comuni possono guardare, alla presenza degli educatori, un film (in lingua italiana) oppure qualche partita di calcio (mi sono informata: seguono il Barcellona, il Chelsea, il Real Madrid… le squadre della nostra città no, o per lo meno non ancora!). Alle ore 22.30 – tassativo – si va a dormire. La sveglia è per tutti alle 7, ma chi va a lavorare si alza alle 5/5.30.
Continuo a osservarli durante il momento del pranzo e mi complimento per l’ottima cucina: “Sono ragazzi che devono crescere – spiega Don Canepa – hanno bisogno di nutrirsi con cibi sani e vari. Purtroppo quando arrivano nei centri di prima accoglienza, al massimo mangiano riso… Qui se vogliono c’è anche il ‘bis’! E sanno benissimo che nel piatto non devono restare avanzi, il cibo non si spreca!”.
‘Qui c’è solo da imparare!’, dico tra me e me mentre li saluto dopo la mia visita. Prometto loro che tornerò a trovarli, perché in cantiere ci sono altri progetti che Don Canepa sta portando avanti per queste comunità.
La comunità di Tre Fontane è davvero un grande esempio di solidarietà, accoglienza, altruismo.
Condividere il tempo, ascoltare, prestare una mano senza chiedere nulla in cambio. Don Mario è riuscito davvero in questo ‘miracolo’. Grazie a questo spirito di accoglienza, ha saputo creare una comunità che è un luogo sereno, dove ognuno si sente rispettato, sostenuto e valorizzato.