La parola
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4a domenica del Tempo Ordinario - anno C, Luca 4, 21-30

Gesù è mandato non per i soli Giudei

Continua, in questa domenica, il racconto di Luca incentrato sul solenne inizio del ministero messianico di Gesù, consacrato nello Spirito, racconto ambientato nella sinagoga di Nazareth: dopo l'inatteso annuncio del compimento 'oggi' della parola profetica, abbiamo davanti agli occhi la reazione dei concittadini di Gesù, che improvvisamente trapassa dallo stupore di fronte alle sue parole allo scandalo, all'ostilità, al rifiuto violento.

Gesù è mandato non per i soli Giudei

Continua, in questa domenica, il racconto di Luca incentrato sul solenne inizio del ministero messianico di Gesù, consacrato nello Spirito, racconto ambientato nella sinagoga di Nazareth: dopo l'inatteso annuncio del compimento 'oggi' della parola profetica, abbiamo davanti agli occhi la reazione dei concittadini di Gesù, che improvvisamente trapassa dallo stupore di fronte alle sue parole allo scandalo, all'ostilità, al rifiuto violento.Perché questa reazione di fronte a Cristo? Perché questo passaggio dalla meraviglia allo sdegno? Perché Gesù si pone davanti ai suoi contemporanei come una presenza sorprendente e provocante. Innanzitutto sorprendente: 'Non è il figlio di Giuseppe?'; quest'uomo reale, che pensano di conoscere nelle sue origini, cresciuto tra loro, sarebbe lui il grande inviato, il consacrato di Dio, il Messia d'Israele atteso? Uno tra noi, uno di noi: chi pretende di essere? Nel passo parallelo in Matteo e Marco (Mt 13,53-58; Mc 6,1-6), collocato in una fase posteriore del ministero di Gesù, è messo in rilievo proprio l'umile origine di Gesù quale motivo del rifiuto dei nazaretani. Inoltre, nel racconto di Luca, Cristo è una presenza provocante, perché invita i suoi ad allargare gli orizzonti, sovverte i loro pensieri, affermando: 'Nessun profeta è bene accetto in patria'; soprattutto, richiamando gli esempi di Elia, mandato ad una vedova fenicia in Zarepta di Sidone, e di Eliseo, che ha guarito dalla lebbra Naaman, un principe della Siria, quindi due persone non appartenenti alla nazione d'Israele, Gesù mostra le scelte di Dio, che vanno oltre i confini del popolo eletto, e fa intravedere che, attraverso la sua persona e la sua parola, c'è un'offerta di grazia, una possibilità di salvezza per tutti, iniziando dai lontani. Ecco, un Cristo così è insopportabile, deve essere cacciato, zittito, escluso dalla sua gente, dalla sua patria: fin dall'inizio, Luca delinea l'ombra dell'incomprensione e della croce, che si profila all'orizzonte.Quante volte questo dramma, delineato nel Vangelo di oggi, si è rinnovato e si rinnova nella vita delle persone, nella storia della Chiesa e del mondo: davanti alla testimonianza di Gesù, incarnata in modo più vivo e più forte in certi uomini e in certe donne di fede, in certe comunità, la prima reazione è uno stupore, perché, come gli abitanti di Nazareth, non ci possiamo sottrarre all'evidenza di verità della persona e della parola di Cristo. La verità porta con sé il suo accento, ha uno splendore che avvince, per cui, quando sentiamo una parola vera, quando incontriamo un'umanità vera, carica di bellezza e di letizia, viviamo un contraccolpo di meraviglia.Ma se questa intuizione iniziale non diventa un legame, un rapporto con Cristo e con chi porta a noi la Sua presenza, anche in noi emergono lo scandalo e la meschinità del cuore: lo scandalo davanti all'umanità di Cristo, al volto che Gesù assume ora nella nostra vita, il volto della Chiesa, suo corpo, una compagnia guidata da seguire e a cui affidarsi; magari ci sembra esagerata la 'pretesa' di chi ci propone di vivere in pienezza la fede; poi la meschinità del cuore, che si manifesta in pregiudizi che ci chiudono e che bloccano il cammino della nostra libertà.Il dramma accaduto quel giorno nella sinagoga di Nazareth accade ora, e la nostra resistenza non è tanto davanti a Gesù, che può rimanere una presenza lontana, un po' sbiadita, alla mercé delle nostre idee e dei nostri sentimenti, ma è davanti alla forma nella quale ora Cristo si consegna a noi e interpella la nostra libertà, una forma integralmente umana, com'era il volto di quell'uomo, ben noto ai suoi compaesani, per noi la forma della Chiesa, una vita reale, fatta di gesti, di parole, di persone, talvolta resa opaca ed appesantita dal peccato e dai mille limiti di noi tutti, suoi membri, eppure luogo del Mistero presente e della comunicazione a noi della verità e della grazia di Cristo. Il vangelo di questa domenica racchiude in sé un appello a non chiuderci nelle nostre misure, a far prevalere lo stupore iniziale, che Cristo desta in ogni cuore libero e aperto, ad accogliere la provocazione che la Sua presenza è oggi per noi.

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