Genova e Liguria
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Tumore al seno: nuovi farmaci danno speranze

La ricerca ha consentito di raggiungere nuovi e importanti risultati

Tumore al seno: nuovi farmaci danno speranze

Sono 1650 i nuovi casi di tumore alla mammella diagnosticati in Liguria nel 2019 e ogni anno oltre 2.000 pazienti entrano a far parte di sperimentazioni cliniche, all’interno delle Breast Unit, unità funzionali che garantiscono percorsi di diagnosi e cura ottimali.

Tali realtà garantiscono il raggiungimento di risultati quali l’elevata percentuale di pazienti libere da malattia a distanza di anni dalla diagnosi iniziale, contribuendo al miglioramento delle conoscenze e degli standard di trattamento.

Nonostante questi importanti risultati circa il 10% delle nuove diagnosi avviene già in fase metastatica. “In questi casi, un tempo, vi erano poche opzioni.

Oggi grazie alla ricerca non è più così – spiega la prof.ssa Lucia Del Mastro, Responsabile della Breast Unit dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino e Presidente del convegno nazionale Back from San Antonio, giunto alla tredicesima edizione, che si è tenuto nei giorni scorsi presso il Centro Congressi Magazzini del Cotone con l’obiettivo di approfondire le novità emerse durante il congresso internazionale sul tumore della mammella che si svolge ogni anno negli Stati Uniti a San Antonio (Texas)”.

Il carcinoma mammario metastatico infatti è una malattia che, in molti casi, è possibile mantenere sotto controllo per periodi molto lunghi, risultati impensabili solo un decennio fa. Oggi abbiamo diverse armi a disposizione, dalla chemioterapia all’ormonoterapia alle molecole a bersaglio molecolare fino all’immunoterapia”.

Oggi, infatti, grazie a terapie mirate che bloccano il recettore HER2, una proteina, che nel 15-20% dei tumori alla mammella, è presente in quantità eccessiva, e causa una crescita rapida e incontrollata delle cellule malate, il loro decorso clinico è cambiato radicalmente.

“Sono tre gli studi più interessanti presentati Congresso di San Antonio. Tutti riguardano questa forma di carcinoma mammario e sono verosimilmente destinati a determinare un ulteriore miglioramento della prognosi”, spiega la prof.ssa Del Mastro.

Lo studio su una nuova molecola, tucatinib, inibitore orale di HER2, ha dimostrato particolare efficacia nelle pazienti con metastasi cerebrali, presenti in circa il 50% dei casi di malattia metastatica.

Il secondo studio riguarda trastuzumab deruxtecan, un nuovo anticorpo coniugato, cioè una molecola che nasce dall’unione di un anticorpo monoclonale (trastuzumab) con la chemioterapia (deruxtecan).

“Si tratta di una terapia molto potente, che è in grado di inviare 8 molecole di chemioterapico per ogni anticorpo, agendo non solo sulla cellula tumorale che costituisce il bersaglio ma anche su quelle vicine” – sottolinea la prof.ssa Del Mastro.

Il terzo studio presentato a San Antonio riguarda il trattamento adiuvante delle pazienti HER2-positive, cioè dopo la chirurgia per ridurre il rischio di ripresa della malattia. Si tratta dell’aggiornamento dello studio di fase III Aphinity, che ha valutato un farmaco a bersaglio molecolare, pertuzumab, in aggiunta a trastuzumab e chemioterapia.

“A un follow up di circa 6 anni – spiega la prof.ssa Del Mastro - il beneficio maggiore è stato osservato nelle pazienti ad alto rischio di recidiva, cioè con linfonodi ascellari positivi.

Con il regime a base di pertuzumab è stata ottenuta una riduzione del 28% del rischio di recidiva o di morte rispetto a trastuzumab, chemioterapia e placebo. Questo corrisponde a un miglioramento assoluto dell’incremento della sopravvivenza libera da malattia a sei anni del 4,5%”.

Dagli Stati Uniti arrivano, infine, conferme dell’efficacia dei nuovi trattamenti anche per chi ha un tumore positivo ai recettori ormonali e HER2 negativo (HR+/HER2-), in postmenopausa con la patologia metastatica.

“Questo sottotipo include circa il 65% di tutti i casi metastatici – spiega Carmine De Angelis, ricercatore dell’Università di Napoli Federico II e Professore del Baylor College of Medicine di Houston.

“È dimostrato che la combinazione di ormonoterapia e delle nuove terapie a bersaglio molecolare (inibitori di CDK4/6) è migliore rispetto alla sola ormonoterapia standard: la sopravvivenza libera da progressione è raddoppiata. Non solo.

Nessun regime di chemioterapia si è dimostrato più efficace rispetto alla combinazione. In queste pazienti, la pratica clinica si sta progressivamente allontanando dall’impiego della chemioterapia per adottare la combinazione, in prima linea, di diverse molecole a bersaglio molecolare con la terapia endocrina”.

Fonte: Il Cittadino
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