Cultura
Catechesi nell’arte – La morte nell’arte: da memento mori a vanitas
Il tema della morte nell’arte è sempre stato spunto di riflessione per gli artisti, questo perché è da sempre un concetto misterioso che non si può spiegare in maniera razionale.
Memento mori – Ricordati che devi morire è un’antica locuzione latina che usiamo ancora oggi e che ha dato il nome ad alcune opere d’arte antichissime, come ad esempio un mosaico romano conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Il soggetto della morte nell’arte è stato rappresentato nel corso dei secoli con vari stili passando dapprima dall’antichissima tecnica del mosaico. In questo mosaico il teschio è appeso ad un filo di piombo che dondola sopra una farfalla posta sopra una ruota. È proprio qui che troviamo tutti gli elementi simbolici che poi hanno dato il titolo all’opera Memento Mori. Il teschio rappresenta la morte, la farfalla l’anima, la ruota la fortuna.
A partire dalla seconda metà del Duecento nasce l’iconografia della Morte chiamata anche La Nera Signora, che rimarrà tale fino alle fine del Seicento. Si tratta di uno scheletro animato, spesso sorridente, che in alcuni casi conserva ancora brandelli di pelle. L’enorme affresco Trionfo della Morte, eseguito nel 1446 e conservato presso la Galleria Regionale della Sicilia nel Palazzo Abatellis di Palermo, è forse l’opera più rappresentativa di questa iconografia. In questo affresco troviamo la Morte mentre fa irruzione in un rigoglioso giardino a dorso del suo destriero, anch’egli ridotto quasi a scheletro, e scaglia frecce a uomini e donne sotto gli occhi quasi indifferenti di alcuni personaggi.
La morte nell’arte non la ritroviamo solo tramite personificazioni animate della morte stessa, ma anche ad esempio attraverso la figura del teschio. La ritroviamo in alcuni dipinti di santi, in particolar modo sulla figura di San Girolamo. Il santo è raffigurato come un uomo anziano, nudo, e avvolto solo da un drappo rosso. A volte ai suoi piedi è presente il cappello da cardinale a dimostrazione che egli rinuncia alla gloria terrena. Molto più spesso è rappresentato nell’atto di scrivere nel suo studio, o nell’atto di colpirsi il petto con una pietra in gesto di penitenza, ma ciò che sicuramente ci balza subito all’occhio è la presenza del teschio sempre accanto a lui a simboleggiare come la vanità è destinata a finire. Tra i dipinti più belli del santo troviamo quello realizzato da Caravaggio conservato presso la Galleria Borghese a Roma.
Durante il corso del Seicento il tema della caducità della vita ossessionava il popolo e in particolar modo committenti e artisti tanto che nacquero numerose opere allegoriche riguardanti questo argomento. In Olanda si diffuse un tipo di natura morta chiamato Vanitas dove il teschio domina le composizioni, spesso accompagnato da candele spente o strumenti musicali che alludono alla morte, orologi e clessidre volte ad indicare lo scorrere inesorabile del tempo, oppure fiori spezzati simboleggianti la vita che prima o poi volgerà al termine. La parola deriva dalla frase biblica Vanitas vanitatum et omnia vanitas che significa Vanità delle vanità, tutto è vanità che vuole proprio indicare come la vita sia fugace. Un’altra opera fortemente drammatica è il dipinto di Alessandro Magnasco, Furto Sacrilego. La scena è tratta da un evento realmente accaduto: un furto avvenuto presso la chiesa di Santa Maria di Campomorto a Siziano, nei pressi di Pavia. In questo dipinto gli scheletri trascinano negli inferi i ladri che avevano profanato la chiesa. Realizzata nel 1731-1735, è oggi conservata presso il Museo Diocesano di Milano.
