51 Giovani palestinesi pellegrini a Genova

Accolti dalla Pastorale giovanile diocesana

Lunedì 6 ottobre: c’è il sole in piazza De Ferrari, l’acqua della fontana si riempie di riflessi: fra i tanti che scattano fotografie, c’è un gruppo davvero speciale: sono i 51 giovani della Gioventù di Gesù in Palestina (YJHP: Youth of Jesus’ Homeland – Palestine), venuti in Italia in pellegrinaggio. “Volevamo partecipare al giubileo dei giovani, ma quest’estate i voli sono stati cancellati.” racconta il loro assistente, padre Louis Salman, che li accompagna assieme a padre Abdallah Dababneh, responsabile della pastorale vocazionale, e a suor Rita e suor Anna, delle Suore del rosario.
“I giovani provengono da Zababdeh, Nablus, Bethlehem, Jerusalem, Ramalla” ci spiegano “invece da Gaza non sono potuti venire”. Nelle parole, il dolore di chi conosce nomi e volti di giovani, che potrebbero essere così vicini, e invece vivono sotto i bombardamenti.
Il pellegrinaggio li ha portati a Roma, dove hanno incontrato papa Leone, e poi ad Assisi, Padova, Venezia, per concludersi a Genova. Qui, assieme alla Pastorale Giovanile, i giovani palestinesi hanno potuto visitare il centro di Genova, alcuni palazzi e chiese del Centro Storico, fra cui la Cattedrale, e il Seminario.
La città offre giorni miti e pieni di sole, due studentesse universitarie preparano un percorso, narrato in inglese ed in arabo. Passeggiando per i caruggi, si dialoga: i ragazzi raccontano il loro impegno in YHJP, e frammenti della vita quotidiana, come Faten, responsabile del settore giovani, che dopo la laurea, lavora in un campo di sfollati in Cisgiordiana, aiutando chi è stato costretto a lasciare la terra e la casa.
Si cammina per le vie, ed i giovani dicono il loro stupore per la libertà di muoversi “Per andare all’università, devo passare sei posti di blocco” racconta una ragazza “non so mai se riuscirò ad arrivare in tempo”.
I giovani avevano chiesto di conoscere la città, ma soprattutto di celebrare insieme l’Eucarestia e di condividere del tempo con i ragazzi di qui, per creare legami.
Così, a conclusione delle due giornate, ci raccogliamo nella basilica della SS. Annunziata del Vastato. Ci sono giovani delle associazioni e dei movimenti: Azione Cattolica e Scout, Focolari e Sant’Egidio, Movimento Liturgico Giovanile e Pastorale universitaria… e poi il seminario, e tanti amici.
Se le varie appartenenze sono state utili per raccogliersi, lì non emergono: c’è solo una grande assemblea, raccolta e gioiosa. Si canta in arabo, in italiano, in inglese, si prega, ci si ascolta. Al termine dell’Eucarestia, il dono di un crocifisso d’ulivo di Palestina, perché: “Essere cristiani in Terra Santa vuol dire portare la croce”.
Poi i giovani presenti si raccolgono in piccoli gruppi: la proposta di alcune domande, aiuta a raccontarsi la vita. C’è un ascolto profondo: è un momento sacro. Arriva la cena, ma il dialogo non si ferma. Poi diventa canto, diventa preghiera. Ci salutiamo commossi: “Grazie perché ci avete ascoltato” “Pregate per noi, perché possiamo portare a termine (il nostro compito)”
In quei volti, in quella domanda, risuonano vive le parole che il card. Pizzaballa affidava a tutta la comunità lo scorso 5 ottobre: “vogliamo pregare per questo. Per custodire e preservare da ogni male il nostro cuore e quello di coloro che desiderano il bene, la giustizia e la verità. Per avere il coraggio di seminare germi di vita nonostante il dolore, per non arrendersi mai alla logica dell’esclusione e del rifiuto dell’altro. Preghiamo per le nostre comunità ecclesiali, perché restino unite e salde, per i nostri giovani, le nostre famiglie, i nostri sacerdoti, religiosi e religiose, per tutti coloro che si impegnano per portare ristoro e conforto a chi è nel bisogno. Preghiamo per i nostri fratelli e sorelle di Gaza, che nonostante l’infuriare della guerra su di loro, continuano a testimoniare con coraggio la gioia della vita”.
All’arrivo in città, notando le bandiere nelle vie, una giovane chiedeva: “Perché Genova ama così tanto la Palestina?” sicuramente ci sono motivi, e storie, e anche pensieri diversi su come intendere questa vicinanza. Ora, per tanti giovani, ci sono i nomi e i volti che abbiamo incontrato, il dolore e la speranza che li animano nel loro impegno a restare e a testimoniare nel quotidiano la pace “disarmata e disarmante” del Vangelo.