La parola
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Corpus Domini (anno A), Giovanni 6,51-58

La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno.

Come nella fede della Chiesa è nata l'esigenza di dedicare una festa per esprimere l'adorazione del mistero del Dio Trinità, così è si è voluto istituire la solennità del "Corpus Domini", , per manifestare la gioia e lo stupore per la presenza viva del Signore, nel segno del pane e del vino, consegnati da Gesù nell'ultima cena come sacramento del suo corpo dato e del suo sangue versato per noi. Per riprendere un'espressione cara a Papa Benedetto, è proprio "una festa della fede", dove la parola "festa" dice l'esultanza della Chiesa per il dono dell'Eucaristia, un'esultanza che trova espressione anche in gesti pubblici, come la processione con il Santissimo Sacramento, e la parola "fede" rinvia alla radicalità che questo mistero mette in gioco. In effetti, davanti all'Eucaristia è provocata la nostra fede, che, al di là di ciò che i sensi avvertono e al di là di ciò che possiamo comprendere, afferma una realtà davvero "incredibile" e sorprendente: non a caso, l'annuncio che Gesù rivolge ai Giudei, nel vangelo di Giovanni, della sua carne e del suo sangue che saranno donati come "vero cibo" e "vera bevanda", suscita una crescente contestazione, che porterà molti discepoli ad allontanarsi da Cristo e sarà l'occasione per la professione di fede di Simon Pietro: "Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna. Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio". Ora è ampio l'orizzonte in cui Giovanni colloca l'annuncio del mistero eucaristico, perché la fede nell'Eucaristia è legata strettamente alla fede in Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell'uomo: infatti, nel discorso del "pane di vita" Gesù si presenta innanzitutto come "il pane vivo, disceso dal cielo", in quanto è la Parola vivente di Dio, discesa tra noi, nell'evento dell'Incarnazione, Parola di cui ci nutriamo, venendo a lui e credendo in lui. Sullo sfondo, è evocato il dono della manna, che ha sostenuto Israele nel cammino nel deserto, un alimento che però non ha impedito alla generazione dei padri di morire, prima d'entrare nella terra promessa: la vera manna che ci nutre e ci dona, fin da ora, "la vita eterna", è Cristo stesso, accolto nella fede come "pane disceso dal cielo", come il Dio che ha posto la sua dimora tra noi, in Gesù di Nazaret. Ma il dono va oltre, e diviene pieno nell'ora della Pasqua, dove Gesù non è soltanto la nuova manna, ma è l'agnello che offre se stesso per la nostra liberazione, e qui siamo di fronte a qualcosa d'inatteso, che sconvolge ogni misura, negli interlocutori di Gesù, di ieri e di oggi: "il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo". Dietro il vocabolario del quarto vangelo, avvertiamo l'eco delle parole di Gesù, nell'ultima cena, solo che Giovanni preferisce usare il termine "carne", per indicare tutta la concreta realtà umana di Cristo, che sarà offerta e donata, sulla croce, "per la vita del mondo". Il linguaggio che viene utilizzato è intenzionalmente molto forte e realistico, e così l'evangelista ci mette in guardia da ogni riduzione simbolica del dono che Gesù farà di questo cibo e di questa bevanda, che saranno carne da mangiare (il verbo greco letteralmente è "masticare") e sangue da bere, carne che rimanda alla persona viva di Cristo e sangue, che evoca la sua morte violenta. Dunque il mistero eucaristico è qui annunciato, come presenza del Signore, che si dà per venire a dimorare in noi e come segno del suo sacrificio, della sua morte, estremo atto d'amore. La contestazione dei Giudei - "Come può costui darci la sua carne da mangiare?" - tradisce una comprensione materiale delle parole di Gesù, e ci chiede di non cadere una lettura meccanica e superficiale dell'annuncio, perché non possiamo perdere di vista l'orizzonte di tutto il discorso del pane di vita, dove ricevere il pane vivo, che è Gesù, è credere in Lui, alimentarsi delle sue parole che sono "Spirito e vita". Si tratta di una relazione con Cristo nella fede, e in questo senso il nostro mangiare e bere passa attraverso dei segni reali, come il pane e il vino, ma attinge ad una realtà spirituale, non puramente fisica, perché si tratta di nutrirci del corpo e sangue del Signore ora risorto e glorificato, che, presente nei segni sacramentali, si dona a noi, come sorgente di vita e di risurrezione, per una comunione profonda nella quale lui rimane in noi e noi rimaniamo in lui. Celebrare e accogliere l'Eucaristia è davvero questione di fede, una fede che ospita il mistero, nello stupore adorante e grato, una fede che si pratica e mette radici sempre più profonde nell'accostarsi umile e sempre nuovo al dono della "carne" e del "sangue" del Figlio dell'uomo.

La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda
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