La parola
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4a Domenica di Pasqua (anno A), Giovanni 10 1-10

Io sono la porta delle pecore

In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».

La doppia "similitudine" della porta e del pastore, proposta nel passo di Giovanni, chiede d'essere compresa nel contesto dove è originalmente collocata: Gesù, infatti, si sta rivolgendo a quei farisei che non hanno accettato né compreso il segno appena compiuto della guarigione del cieco nato (Gv 9,1-41) e rischiano d'essere loro i veri ciechi, che pur vedendo con gli occhi, non vedono la realtà. Sono guide di menzogna, che allontanano il popolo dalla luce e impediscono di accedere alla sorgente della vita vera: non più pastori che hanno cura del gregge e lo conducono fuori, ma "ladri e briganti" che usano del loro potere per i propri interessi, o per difendere i loro schemi. Evidentemente, nel vangelo queste parole forti di Gesù valgono come richiamo a chi adesso ha un ministero di guida e d'autorità nella comunità dei discepoli, nella Chiesa del Signore, e disegnano la figura e il volto di chi è davvero pastore e maestro, da seguire e da riconoscere.
C'è come un intreccio che rende singolare la parabola, con tratti allegorici, offerta al nostro ascolto, perché si parla del "pastore delle pecore", che a differenza del ladro e del brigante, entra per la porta del recinto e chiama fuori le sue pecore, camminando poi davanti ad esse, e si evoca l'immagine della porta, come accesso del pastore e come via, per il gregge, per uscire e trovare pascolo.
Il centro della similitudine è il contrasto tra il pastore e il ladro o brigante, e lo stesso simbolo della porta è menzionato su questo sfondo, perché "chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, è un ladro e brigante", è un estraneo con intenzioni cattive; "chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore", che ha a cuore il loro bene, è legato ad esse da un vincolo di conoscenza e di affetto, tanto che esse riconoscono la sua voce ed egli le chiama per nome. Entrambe le due immagini sono lette in riferimento a Cristo, prima con l'esplicita affermazione "io sono la porta delle pecore" e nella prosecuzione del brano con la proclamazione solenne e reiterata "Io sono il buon pastore" (cfr. Gv 10.11-18).
C'è un unico accesso alla vita vera ed è Cristo stesso che è venuto perché gli uomini "abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza": i pastori autentici che non ingannano e non illudono sono coloro che passano per questa porta, e conducono con dolcezza e forza gli uomini per questo varco di luce che è Gesù, nel suo mistero, nella potenza della sua Pasqua. Allo stesso modo le guide da seguire sono coloro che rendono presente l'amore del Pastore buono e bello, e che nella loro voce fanno come riecheggiare la sua voce, l'unica che può essere riconosciuta dal cuore leale e semplice.
Qui è la differenza radicale tra il pastore e il ladro o il mercenario: mentre i falsi maestri sono alla fine delle presenze estranee e lontane dalla verità del cuore, "il Pastore grande delle pecore", che è Gesù, e in lui i pastori che ne sono segno vivo e reale, è una presenza amica e familiare: "le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei". Ora, se purtroppo può accadere un oscuramento così profondo nella vita dell'uomo, da non essere più capace a distinguere chi sia il vero pastore, e questa è la più grande tragedia che si può verificare nell'esistenza degli uomini e della stessa comunità cristiana: perdere il criterio del cuore, che Dio stesso ha posto in noi, per discernere, per scegliere ciò che fa crescere, ciò che è in grado di compiere la nostra umanità.
Tuttavia, prima o poi, come la storia dimostra, gli uomini che non soffocano la voce della coscienza e le esigenze strutturali della verità, della bellezza e della bontà, si ridestano, si accorgono dell'estraneità e della disumanità di certi maestri, e sanno riconoscere i pastori buoni e affidabili.
Come il vero pastore, stando a contatto con le pecore, ne porta "l'odore", secondo l'immagine efficace proposta da papa Francesco, così il gregge dei credenti, dei "poveri di spirito" e dei "puri di cuore", il semplice popolo fedele, ha fiuto nel capire di chi fidarsi e chi è davvero un segno limpido dell'unico Pastore che salva, chi entra per la porta che è Cristo e non ha altra ricchezza che il suo Vangelo, da donare come sorgente inesauribile di vita.

Io sono la porta delle pecore
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