La parola
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4a domenica di Pasqua - anno A, Giovanni 10, 1-10

Io sono la porta delle pecore

In quel tempo, Gesù disse: "In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.

Io sono la porta delle pecore

In quel tempo, Gesù disse: "In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei".
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: "In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza"."

C'è una parola che racchiude una grande promessa e che nel quarto vangelo è spesso sulla bocca di Gesù: è la parola "vita", che generalmente è definita come "vita eterna". È una realtà che immediatamente parla al cuore dell'uomo, d'ogni tempo e di ogni cultura, perché l'essere umano, in quanto tale, è fame e sete di vita, e nonostante tutte le fatiche e le contraddizioni che caratterizzano la sua esistenza, è attaccato alla vita e vorrebbe oltrepassare il limite naturale della morte.
C'è, in effetti, radicale e inestirpabile, un desiderio di vita che non è semplicemente desiderio di prolungare all'infinito questa esistenza, piena di condizionamenti e di imperfezioni, ma è l'anelito ad una pienezza e ad una totalità che, in qualche istante, noi pregustiamo: questo è ciò che indichiamo con la parola "vita eterna" o, per usare l'espressione dell'odierno vangelo, "vita in abbondanza" ed a questo livello si colloca il dono di Cristo, pastore che conduce ai pascoli della vita vera. Ha notato con acutezza Benedetto XVI nella sua enciclica sulla speranza: "Che cosa è, in realtà, la vita? E che cosa significa eternità? Ci sono dei momenti in cui percepiamo all'improvviso: sì, sarebbe propriamente questo - la vita vera - così essa dovrebbe essere. In fondo vogliamo una sola cosa - la vita beata, la vita che è semplicemente vita, semplicemente felicità" ("Spe Salvi", n. 11). Qui abbiamo il criterio semplice e decisivo per riconoscere chi davvero è pastore e chi è mercenario o brigante: il pastore delle pecore, secondo l'immagine dell'allegoria giovannea, ha una voce familiare, tanto che può chiamare ciascuna delle sue pecore per nome, e le conduce fuori, verso i pascoli buoni, verso la vera vita. C'è una profonda sintonia tra il cuore dell'uomo, e la voce di Cristo, e tutte le volte che traspare questa voce, attraverso chi è guida e testimone nel cammino dell'esistenza, il cuore ha un sussulto e sente l'attrattiva del vero nella parola che risuona e nella presenza che si rivela: "Le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce".
In questo orizzonte, la cosa più terribile che possa accadere è una confusione così profonda, uno stravolgimento così immane del cuore, come Dio lo ha creato e voluto, da rendere la persona incapace di distinguere chi è pastore e chi è mercenario, chi è pieno di un'autentica passione al bene e al destino dell'uomo, e chi, invece, usa dell'altro per un suo progetto e pretende di diventare padrone dell'esistenza altrui. Purtroppo c'è la possibilità reale, come appare nella storia degli uomini, di perdere l'originale sintonia con la verità e la bellezza, per ritrovarsi a seguire la voce di chi è estraneo, straniero e nemico dell'autentica felicità; non sempre, non in tutti, non in ogni stagione della vita, accade ciò che annuncia Gesù: "Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei". Là dove l'uomo mantiene o riprende la lealtà e la sincerità del cuore, oltre ogni deformazione e riduzione dei suoi desideri, si riapre la possibilità di un nuovo inizio, nell'incontro con Cristo: egli è, nello stesso tempo, la porta attraverso la quale uscire e trovare pascolo, e il pastore buono che dà la vita per le sue pecore.
L'immagine che l'evangelista disegna davanti noi dell'esperienza autentica del discepolo è così una vita in movimento, che accetta una sorta di esodo, di uscita da sé e dalle proprie sicurezze, per seguire un Altro, che cammina davanti a noi e mostra con chiarezza la via della vita.
È come se le pecore dovessero ripercorrere il cammino segnato dal pastore, per poter attingere alla pienezza della vita: in questo senso, possiamo leggere la parola di Gesù nella luce del mistero pasquale, dove l'Agnello che è immolato per noi diventa il pastore che conduce i suoi alle sorgenti della vita.
È questo pastore che cammina davanti a noi, e che attraverso il dono totale di sé, ci permette di avere la vita in abbondanza, la vita eterna, la vita che permane anche oltre la soglia della morte: seguire lui, dovunque egli vada, anche per le strade della sofferenza e dell'apparente sconfitta, è l'unica possibilità per non tradire il desiderio del cuore, per iniziare a gustare l'eterno nel tempo, per avere in lui la vita in abbondanza.

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