La parola
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4a domenica di Pasqua - anno A, Giovanni 10, 1-10

Il Vangelo: Io sono la porta delle pecore

Al centro della liturgia di questa domenica, sta la figura di Cristo, pastore buono e fedele, che apre ai suoi discepoli il cammino alla vera vita: nel vangelo ascoltiamo la prima parte di quella composita allegoria/similitudine, svolta da Giovanni su Gesù pastore e porta delle pecore (10,1-10), che trova il suo culmine nell'auto-presentazione di Cristo quale 'pastore buono (in greco kalòs 'bello') che offre la sua vita per le pecore' (cfr. 10,11-18).

Il Vangelo: Io sono la porta delle pecore

Al centro della liturgia di questa domenica, sta la figura di Cristo, pastore buono e fedele, che apre ai suoi discepoli il cammino alla vera vita: nel vangelo ascoltiamo la prima parte di quella composita allegoria/similitudine, svolta da Giovanni su Gesù pastore e porta delle pecore (10,1-10), che trova il suo culmine nell'auto-presentazione di Cristo quale 'pastore buono (in greco kalòs 'bello') che offre la sua vita per le pecore' (cfr. 10,11-18). Anche il passo proposto alla nostra attenzione si suddivide in due parti, che presentano alcune tensioni significative, e che ci consentono di percepire la singolare identità di Cristo; infatti, nell'improvviso avvio del discorso, che segue immediatamente l'episodio del cieco nato, Gesù oppone due figure antitetiche, quella del 'ladro' e 'brigante', che non entra nel recinto dalla porta, ma vi sale, di nascosto, da un'altra parte, e quella del vero pastore, a cui appartengono le pecore, che invece entra dalla porta, è riconosciuto dal custode, e, soprattutto, è riconosciuto dalle sue pecore. Qui sta la differenza abissale tra il vero e il falso pastore, un rapporto reale o apparente con le pecore, le quali seguono il pastore, perché ne conoscono la voce: 'Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei'. Nell'esposizione di questa similitudine, dove ogni particolare ha il suo significato, traspare la qualità unica della relazione che unisce il pastore al suo gregge, cioè, fuori metafora, tra Gesù e i suoi, una relazione che non può essere sostituita da nessun altro rapporto: l'attrattiva che muove a seguire Lui come pastore, la fiducia che riponiamo in Lui, nasce da questa originale sintonia tra la sua parola, la sua 'voce' e il nostro cuore, il tessuto più vero della nostra persona; se l'uomo è leale, avverte e riconosce l'inconfondibile nota di verità e di bellezza di Cristo, e sa distinguere, al contrario, l'estraneità di tante voci, di tanti 'maestri' e 'pastori', che, alla fine, sono solo mercenari, non hanno davvero a cuore il bene e il destino delle anime. Certo questa parola del Signore diventa un grave avvertimento per chi nella comunità ha il compito di essere guida e pastore, a non sostituirsi a Lui e a non ridurre e impoverire la sua parola, ma anche un invito a tutti ad essere vigilanti, capaci di discernimento nell'ascoltare e nel seguire chi è eco fedele dell'unico maestro e dell'unico pastore.In questo modo, entriamo nella seconda parte del nostro brano, che si presenta come una spiegazione, da parte di Gesù, dell'allegoria delineata: in realtà, c'è uno spostamento abbastanza evidente. Ora Gesù si presenta, innanzitutto, non come il pastore, ma come 'la porta delle pecore' e, sullo sfondo di un elemento della precedente similitudine, colloca la differenza tra pastori e briganti proprio in ciò: i pastori passano attraverso la porta e conducono il gregge attraverso la porta dell'ovile, per condurli ai pascoli della vita, mentre i ladri e i briganti, che salgono da un'altra parte, vengono per 'rubare, uccidere e distruggere'. Dunque gli autentici pastori sono coloro che conducono le persone loro affidate attraverso quella porta di vita, che è Cristo stesso, sono coloro che non si sostituiscono a lui e non propongono vie di salvezza, alternative alla piena fede in Gesù, Signore della vita; i ladri e briganti non sono solo i falsi messia che hanno accompagnato e preceduto l'esistenza storica di Gesù, ma, in differenti modi, si possono ripresentare nel cammino della Chiesa, e possono oscurare il cuore vivente della fede. L'affermazione finale segna la verifica di un'autentica esperienza cristiana: 'Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza'; nell'appartenenza a Cristo pastore, attraverso il segno trasparente dei suoi ministri, fiorisce la vita, è una sovrabbondanza di bene che inizia nel tempo, come annuncio e promessa dell'eterno: chi è autentico testimone, chi ci conduce all'unico Signore, senza la pretesa di sostituirsi a lui, diviene cosi vero padre delle anime, e per grazia le rigenera ad una vita che ha in Cristo la sua sorgente e il suo futuro affidabile.

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