La parola
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25° domenica T.O. (anno B), Mc 9,30 -37

Il Figlio dell'uomo viene consegnato...

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

La seconda parte del vangelo di Marco, a partire dalla confessione di fede di Pietro che ha riconosciuto in Gesù "il Cristo" (Mc 8,30), è caratterizzata dal ripetuto annuncio della morte e risurrezione del Figlio dell'Uomo, annuncio che ogni volta incontra l'opposizione o l'incomprensione dei discepoli. Così era accaduto, nel vangelo di domenica scorsa, con il vivace dialogo tra Gesù e Pietro (Mc 8,32-33), così accade nel passo odierno, dove colpisce la distanza abissale tra la prospettiva di Cristo e le preoccupazioni dei Dodici. In questo modo l'evangelista mostra che non è sufficiente arrivare ad una definizione dell'identità di Gesù, per essere davvero suoi discepoli, ma occorre essere disponibili ad un cammino, nel quale seguiamo il Signore e ci lasciamo provocare ad una nuova percezione di ciò che vale nella vita. Infatti la professione di fede di Pietro, "Tu sei il Cristo", è giusta, ma è parziale, perché il discepolo non sa ancora e non immagina assolutamente che tipo di Messia sia Gesù e come Gesù realizzerà la missione ricevuta da Dio; soltanto seguendo il maestro e lasciandosi istruire dalla sua parola, Pietro potrà scoprire il volto autentico di Gesù, Figlio dell'Uomo, "consegnato nelle mani degli uomini", Figlio di Dio che proprio nella debolezza estrema della morte porta a compimento l'opera del Padre e si apre il varco alla risurrezione ed alla vita. È dentro un cammino paziente e fedele che matura la fede autentica: essa non può essere ridotta alla ripetizione, magari anche corretta, di formule e di definizioni, ma è una comprensione viva, che coinvolge tutta la persona e che introduce ad una familiarità e ad una comunione con il mistero stesso professato e scoperto, il mistero di Gesù, Messia e Figlio di Dio, crocifisso, risorto e vivente. Non a caso l'evangelista, più volte, sottolinea che il colloquio tra Gesù e i discepoli avviene mentre stanno percorrendo la strada che, attraverso la Galilea, li condurrà in Giudea, a Gerusalemme: "Di che cosa stavate discutendo per la strada?". Mentre erano in cammino per la regione di Cesarèa di Filippo, Gesù ha posto la grande domanda: "Ma voi, chi dite che io sia?"; mentre attraversano la Galilea, insegna loro ciò che lo attende a Gerusalemme e il tempo usato da Marco (l'imperfetto: "insegnava") allude ad un'azione ripetuta e distesa nel tempo, segno di una cura attenta di Gesù per i Dodici. Al di là del dato spaziale e logistico, l'insistenza dell'evangelista sul carattere itinerante di questa catechesi agli apostoli diventa un richiamo ad un aspetto decisivo della vita cristiana: credere è percorrere un cammino, e non semplicemente possedere una definizione, credere è seguire una Presenza viva, che, passo dopo passo, ci provoca, ci interpella e spesso capovolge le nostre sicurezze e le nostre categorie. Ed è bello che Gesù non allontani da sé i Dodici, nonostante la loro fatica e la loro grettezza di cuore: essi sono scandalizzati, come Pietro, all'idea di un Messia sofferente e condannato dalle autorità d'Israele, abbandonato alla violenza degli uomini, non capiscono come possa risorgere, dal momento che la fede giudaica attendeva una risurrezione dei giusti, ma alla fine di questo tempo, hanno paura d'interrogarlo, e mentre Gesù parla di sé in questi termini drammatici e inauditi, essi discutono a lungo su chi tra loro debba essere considerato il più grande, nel gruppo e nel Regno che immaginano. Anche in questo caso, non facciamo fatica a leggere in filigrana, nelle perplessità dei Dodici, nelle loro tese discussioni, nella loro incapacità di comprendere ciò che Cristo annuncia, un anticipo ed un segno di tante fatiche e distanze che, in vario modo, possiamo ritrovare nella nostra esistenza o nell'atteggiamento di fratelli nella fede. Tuttavia Gesù li tiene con sé, li educa e lentamente li fa entrare in una nuova mentalità, li rende partecipi del suo modo d'essere, d'agire e di guardare tutto: è uno sguardo pasquale, che riconosce il vero primato nel farsi gli ultimi e i servi di tutti, come il Figlio dell'Uomo, servo di Dio e degli uomini, e la vera grandezza nella semplicità di un bambino che si lascia abbracciare e nella tenerezza di chi lo sa accogliere nel nome di Gesù. Questa è l'esistenza cristiana: un'immedesimazione sempre più profonda con la persona viva di Cristo, partecipando così della sua visione e del suo cuore.

Il Figlio dell'uomo viene consegnato...
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