La parola
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II lettura di domenica 22 dicembre - Gesù Cristo, dal seme di Davide, Figlio di Dio

IV Domenica di Avvento

Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore; per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome, e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo –, a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo! 

È l’introduzione più ampia di tutte quelle che precedono le lettere paoline. Apparentemente si attiene allo schema epistolare del tempo: il nome del mittente, la menzione dei destinatari, i saluti e gli auguri. Ma tutto il dettato è permeato da un afflato di sublime spiritualità, di profondi concetti teologici.

Paolo non è un amico qualsiasi o un qualsiasi predicatore religioso: è “servo”, cioè proprietà di Cristo e come tale a lui deve rendere conto di ogni azione, da lui dipendono ogni attimo della sua esistenza e la sua morte.

Non dobbiamo dimenticare che in quest'epoca il padrone ha diritto di vita e di morte sul servo. Paolo dichiara questa sua condizione con enfasi gioiosa.

II servizio è specifico: di “apostolo”, ossia “shalîāh” (inviato, rappresentante a pieno titolo del mandatario), non per propria scelta, ma “per vocazione”, da parte di Dio. Questi lo ha designato già in precedenza (“pre-scelto”) a compiere l'annunzio del “Vangelo”, ossia della buona notizia per antonomasia, concernente la salvezza messianica dell’umanità, che si realizza nel Figlio di Dio stesso. Tutto in puntuale attuazione di quanto preconizzato dai “suoi profeti nelle Sacre Scritture”.

L'annuncio ha lo scopo di ottenere “la fede di tutte le genti”: Gesù Cristo è per tutti, perché tutti sono chiamati, invitati a riconoscere l'amore misericordioso di Dio e a ricambiarlo (tale il senso di dar “gloria al suo nome”).

I diretti destinatari dell'epistola – “quanti sono in Roma” – seppure non ancora personalmente conosciuti da Paolo sono, come gli altri popoli, oggetto dell'amore di Dio e della vocazione alla santità. L'augurio dell'apostolo – “grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo” – è pieno e lascia intravedere l'ottimistica speranza che esso si realizzi, in conseguenza della disponibilità dell'uomo.

Dio salva ed eleva l'uomo, se questi non si oppone.

Fonte: Il Cittadino
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