La parola
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il Vangelo della Domenica, Mc. 14,1-15,47

Cristo va incontro alla morte con libertà di figlio

Il racconto della passione nel vangelo di Marco, nella sua essenzialità e vivacità narrativa, ci permette di rivivere le ore drammatiche e decisive del cammino di Cristo: ci limitiamo a mettere in luce alcune elementi che attraversano queste pagine così intense.

Cristo va incontro alla morte con libertà di figlio

Il racconto della passione nel vangelo di Marco, nella sua essenzialità e vivacità narrativa, ci permette di rivivere le ore drammatiche e decisive del cammino di Cristo: ci limitiamo a mettere in luce alcune elementi che attraversano queste pagine così intense. Ovviamente, al centro dello sguardo di Marco, c'è Gesù, che vive il gesto supremo della sua vita, nel mistero della croce: da una parte traspare la signoria di Cristo, il suo dominio degli eventi, segnato dalle ripetute predizioni del Maestro (nelle disposizioni ai discepoli, perché preparino la sala per la cena pasquale, nell'annuncio del tradimento di Giuda e del rinnegamento di Pietro, nella pazienza, piena di dignità, con la quale sopporta l'impressionante carico di sofferenze e di supplizi) e dalle poche parole che egli pronuncia. Nel cenacolo, attraverso il dono del pane e del vino, egli esprime e anticipa il senso della sua morte e dell'effusione del suo sangue, come sangue dell'alleanza, 'versato per molti, in remissione dei peccati'; nella sua confessione davanti al sommo sacerdote, proclama la sua dignità di messia, 'figlio del Benedetto', che verrà nella gloria come Figlio dell'uomo, e di fronte a Pilato riconoscerà il suo essere re, secondo una logica incomprensibile per il procuratore di Roma; perfino nel suo silenzio, davanti alle violenze gratuite, subite dalle guardie del sommo sacerdote e dai soldati della coorte, e davanti alla prospettiva dell'ingiusta condanna, Gesù appare superiore, come se realmente vivesse in libertà e con dedizione amorosa l'ora della sua consegna nelle mani dei peccatori. Un passaggio nelle mani degli uomini, durante il quale Cristo è quasi espropriato della sua iniziativa e della sua libertà, fino alla morte, fino all'abbandono supremo sulla croce: abbandonato dai suoi, che sono fuggiti dopo l'arresto, abbandonato apparentemente anche da Dio. In realtà, l'evangelista, attraverso questo duplice filo che percorre tutta la narrazione - la signoria di Gesù nel vivere gli eventi della passione e il suo essere consegnato, in un progressivo annichilimento di sé - ci fa entrare nel cuore e nell'anima del mistero, perché, prima che essere consegnato passivamente agli uomini, Cristo si consegna, in libertà, al Padre, in un gesto di donazione totale, incarnando in sé la figura del Servo, preannunciata in Isaia 53, che avrebbe offerto se stesso, a favore di molti, portando il peccato e le sofferenze di tutto il popolo. In questa prospettiva, il momento chiave dell'ora della passione è la sosta notturna nel Getsemani, momento drammatico, nel quale Gesù vive la sua lotta e, attraverso una travagliata preghiera, si abbandona al Padre: Gesù entra nell'ora decisiva della sua vita pregando, e in effetti la narrazione è ritmata da parole e gesti di preghiera. Cristo benedice e ringrazia il Padre, nella cena in cui lascia il dono del suo corpo e del suo sangue, nei segni del pane e del vino; supplica il Padre nell'orto degli ulivi, chiedendo che allontani da lui il calice amaro della sofferenza; sulla croce, le sue ultime parole sono sì un grido 'Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?', ma un grido in forma di preghiera, che coincide con l'inizio del Salmo 22. Nell'ora della prova, Gesù riafferma il suo legame con il Padre, invocato, secondo il testo di Marco, con il termine aramaico 'Abbà', che indica una singolare relazione di confidenza, propria di un figlio con il proprio padre; Gesù non soccombe nell'angoscia, non vive, in modo puramente passivo la croce, perché si fida del Padre, perché è certo dell'amore e della fedeltà del Padre, e di fronte a Lui, offre la sua vita, nel segno del sangue versato, per il perdono dei peccati. Così la contemplazione di Cristo nelle parole dell'evangelista diventa anche una strada aperta al cammino dei discepoli, che ponendosi dietro a Gesù, sono chiamati a portare la croce, ad affrontare il tempo della prova e della contraddizione, rivivendo la stessa dinamica d'amorosa obbedienza e di offerta al Padre. Soprattutto, tenendo lo sguardo fisso al Signore nella sua passione, siamo chiamati ad affermare il legame invincibile con il Padre, sorgente di vita e di risurrezione, capace di trasformare l'ora oscura della sofferenza in tempo di libero dono di sé: quanto più questo legame è reale e vivo, tanto più potremo partecipare della fecondità della croce.

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