La parola
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Cristo è entrato nel cielo stesso

Ascensione del Signore (anno C)

Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte.

Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza.

Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso. 

Lo scritto è indirizzato a cristiani provenienti dell’ebraismo, nella cui liturgia veterotestamentaria il sommo sacerdote, una volta all’anno, il giorno dell’Espiazione – “yom Kippur” – entrava nel “santo dei santi”, la parte più sacra del tempio per impetrare la purificazione del popolo, con il sangue del sacrificio di animali.

Riferendosi all’Ascensione di Gesù, l’autore della lettera identifica il santuario celeste come “vero”, cioè quello in cui Dio è realmente presente e quindi dove il Cristo entra come sacerdote unico e definitivo.

Il suo sacrificio ha efficacia perenne: ha distrutto i peccato di tutti i tempi. Gesù si immolato una volta per sempre, il “sacrificio di se stesso” non dev’essere ripetuto. La Messa è sacrificio mistico: in essa non viene offerta una nuova Vittima, ma viene ripresentata la Vittima già offerta per sempre; viene reso attuale il valore salvifico di quell’unico, definitivo sacrificio. Proprio come la morte segna, per gli uomini, la fine, altro non restando da attendere che il giudizio di Dio.

Allora Cristo “apparirà una seconda volta”, non per redimere dal peccato, ma per la glorificazione dei redenti.

I redenti dunque sono sostenuti dalla fiducia di entrare nel santuario dei cieli, in cui Cristo li precede nell’Ascensione, inaugurando la “via nuova e vivente, attraverso il velo, cioè la sua carne”: la sua umanità (si può anche intravedere un’allusione al “velo” che chiudeva il “santo dei santi” e che si è “squarciato” al momento della morte sacrificale di Gesù).

Noi, i redenti, “avendo un sacerdote grande” cioè di una dignità unica, a capo della “casa di Dio” – il tempio spirituale, cioè la Chiesa, suo corpo mistiche – possiamo accostarci a lui, quali sue membra, con sincerità di cuore (convinzioni e sentimenti), pienezza di fede, purità interiore (di coscienza) ed esteriore (del corpo).

La nostra speranza, dunque, non sia vacillante, non sia incrinata da perplessità o incertezza, poiché è fondata sulla promessa di Colui, che “è fedele” e non delude.

Fonte: Il Cittadino
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