La parola
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4° domenica di Pasqua - anno C, Gv 10,27-30

Alle mie pecore io do la vita eterna

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Alle mie pecore io do la vita eterna

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».Il breve passo di Giovanni, proposto al nostro ascolto, è tratto dal capitolo 10° del quarto vangelo, dove domina l'allegoria del pastore, applicata a Gesù. Egli è la porta delle pecore, per quale si deve entrare per avere la vita ed essere condotti al pascolo (Gv 10,1-10); egli è il pastore, buono e bello, che fa trasparire nel dono totale di sé un amore senza fine per le sue pecore, disposto a perdere la vita, pur di proteggerle dai lupi (Gv 10,11-18). Nel successivo dialogo con i Giudei, nel portico di Salomone, all'interno dell'area del tempio (Gv 10,22-23), Gesù riprende l'immagine del pastore, in un contesto polemico: i Giudei che non credono non sono parte delle sue pecore, perché ciò che caratterizza il rapporto tra Cristo e i suoi discepoli è una ricca relazione, che segna in profondità l'esistenza dell'uomo, chiamato alla fede. Giovanni esprime la ricchezza di questo legame con tre verbi: 'Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono'. Innanzitutto c'è l'ascolto della voce inconfondibile del vero pastore, dell'unico maestro, di Colui che è la Parola definitiva del Padre. Una voce inconfondibile, perché c'è una corrispondenza tra le attese e le esigenze del cuore umano, e la proposta di Gesù, ciò che annuncia e rivela a noi nel Vangelo, e se siamo leali e semplici, non fatichiamo a riconoscere dove risuona questa voce, dove percepiamo l'inevitabile accento di verità e di bene, che è proprio della parola di Cristo. Abbiamo così un primo criterio per discernere chi è davvero pastore, che opera in nome di Gesù, e chi, invece, è un mercenario, uno che ci vuole possedere, uno che ci trasmette il veleno della menzogna e del sospetto: essere pecore del Signore è vivere la grazia di questo ascolto rinnovato, nel quale si comunica a noi il fascino di una verità totale, e cresce la certezza di un destino buono per la vita, di una positività indistruttibile, nell'essere voluti, amati e custoditi dall'amore del Padre. Ma, a partire dall'ascolto della voce di Cristo, si sviluppa una conoscenza, che va oltre un processo mentale, e prima della nostra conoscenza del Signore, c'è la conoscenza profonda e sorgiva che Lui ha di noi: 'Io le conosco'. Lo stupore della fede è la scoperta che c'è Uno che ci conosce, per nome, da sempre, c'è Uno che sa penetrare nel groviglio segreto del cuore, e che sa entrare in relazione con noi, in modo così intimo e così totale, che nessuna creatura umana lo può eguagliare. È una conoscenza che è carica d'affetto, e che diventa amore, è una conoscenza che si esprime in una familiarità sorprendente, e che apre un cammino in cui noi, a nostra volta, diveniamo capaci di conoscere il volto e il mistero del Signore della nostra vita: 'Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me'. Anche qui ci è donato un altro criterio, per distinguere il vero e il falso pastore, chi può essere veramente guida e testimone nella fede: l'autentico pastore non ci riporta a sé, non ci ferma a sé, ma ci permette di scoprire, sempre di più, il volto di Colui che già ci conosce e ci ama, prima di qualsiasi nostra risposta ed iniziativa, e diventa capace, nel legame con il Pastore di tutti, di stabilire rapporti non generici e di conoscere, a sua volta, le persone affidate alla sua cura. Infine il terzo verbo parla di una sequela che i discepoli sono chiamati a vivere: 'esse mi seguono'. Seguire Gesù è tutta l'avventura cristiana: seguire non un'idea, una dottrina, un'ispirazione ideale, ma seguire una persona, che, avendo vinto la morte attraverso la libera offerta di sé al Padre, resta il vivente, e continua ad incrociare le nostre strade È una presenza che vuole agire, parlare, rivelarsi attraverso uomini da lui scelti, chiamati ad essere, nel mondo e di fronte agli uomini, segno e trasparenza dell'unico Pastore: qui trova radice il dono del sacerdozio, dono d'amore che dovrebbe suscitare gratitudine e tremore nei chiamati. Infatti chi riceve una tale vocazione, può essere segno che mostra il Signore da seguire, oppure ostacolo che copre e nasconde il volto buono e bello del Pastore grande delle pecore: così la possibilità di vivere, in pienezza, il dono e il compito di essere pastore nella comunità dei discepoli, è tutta sospesa ad un'umile ed intensa preghiera, che dovrebbe accompagnare e circondare ogni esistenza sacerdotale.Corrado Sanguineti

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