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Fuga dall'Africa, terra depredata dai paesi occidentali e asiatici

Verso la Giornata del Migrante, domenica 24 settembre

A fine luglio ho avuto l’opportunità di incontrare Suor Barbara, missionaria contemplativa in Congo. Un dialogo forte, interessante ma anche triste. La realtà congolese, che rispecchia quella di altri paesi nell’Africa Subsahariana è tanto nota quanto vergognosamente ignorata! Terre ricche in balia degli interessi dell’altro mondo. Terre ambite e derubate; sono la riserva di caccia dei paesi occidentali e di quelli asiatici emergenti. Terre di speculazione e di corruzione dove la pianta che prospera di più è quella della violenza, del calpestio dei diritti e della dignità dei popoli. Cresce la pianta di lotte tribali fomentate ad arte per meglio rubicchiare e tener alti i commerci di armi: lo specchio di una realtà globalizzata che stride con le tante belle parole e e tanti bei principi con i quali dovrebbe essere sostenuto un mondo umano.

Non è difficile trovar eco alla parole di Suor Barbara nelle lettera che Padre Mauro Armanino invia dal Niger triste crocevia del vagare di profughi e disperati in cerca di libertà, di futuro. Per non parlare poi di quelle altre terre di passaggio (Libia in primis) dove persone in fuga sono oggetto di inammissibili angherie. Già perché la realtà appena accennata è all’origine di quel fenomeno migratoria che tanto affligge pensieri, preoccupazioni anche del nostro paese. Le fughe disperate da terre sfruttate, rubate e martoriate finiscono (se non in fondo al mare) nei nostri discorsi di accoglienza, di integrazione, terreno di scontro tra visiono opposte. Accogliere è questione di umanità, di dignità. Gli sforzi sono ingenti, ma pare che non ci sia posto per tutti. Assillo quotidiano è la richiesta di nuovi spazi e l’alternarsi di provvedimenti costantemente in regime di emergenza, di numeri usati ad arte ma senza tener conto che dietro ai numeri ci sono persone e paesi che dovremmo aiutare in ben altro modo.

Si moltiplicano le richieste di accoglienza. Anche le diocesi e le reti ecclesiali di accoglienza sono ogni giorno sotto pressione per richieste delle autorità governative a mettere a disposizione spazi. Spazi, corridoi umanitari, vie interne per i profughi in fuga da guerre e persecuzioni, strade di arrivo sicure e legali. Strade percorse e sollecitate da tempo negli ambienti Caritas (e non solo). Ma non si può accogliere all’infinito considerando che gran parte delle persone che richiedono asilo, protezione potrebbero tranquillamente avere una futuro nelle loro terre.

I “migranti forzati” costituiscono certamente un problema e i primi a ritenerlo sono loro, non avendo scelto liberamente questa fuga.
Dunque occorre evitare opposizione o smetterla di parlare di invasione, piuttosto c’è l’urgenza di ripristinare una collaborazione non “predatoria” per rendere vivibili quei Paesi. E’ così che si potrebbero veramente “aiutare a casa loro”. Deve essere chiaro che i primi ad essere richiamati alla responsabilità che si sono assunti sono i governanti del Paesi da cui si fugge. Quei governanti sono chiamati a un esercizio della politica buono, trasparente, onesto, lungimirante e al servizio di tutti, specialmente dei più vulnerabili. Ma per un esercizio buono della politica occorre partire da governi buoni, leali, lungimiranti, cooperativi per permettere ai paesi africani (e non solo) le condizioni di potersi comportare in modo virtuoso impedendo la speculazione finanziaria sul debito internazionale e soprattutto la razzia delle risorse del suolo o del sottosuolo. E’ questa la forchetta che alimenta i trafficanti di esseri umani, chiaramente in combutta con reti di criminalità organizzata. Continuiamo ad accogliere e a perseguire strade sicure, non lasciamo che sia solo il Papa o qualche vescovo o genericamente la Caritas a dare voce alla questione dei migranti.
Nel messaggio per la 109° Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che quest’anno ha come tema "Liberi di scegliere se migrare o restare" Francesco invita ad uscire dai nefasti luoghi comuni degli opposti estremismi e ideologismi, dal fittizio terzomondismo o da un generico “aiutiamoli a casa loro” che da un lato evoca esiste un diritto a muoversi, migrare (come accade per tanti giovani italiano che cercano futuro in altri paesi!) e dall’altro dovrebbe generare una responsabilità per eliminare dispotismi, guerre, colonizzazioni, catastrofi ambientali rendere accoglienti, ospitali le terre che invece costringono alla fuga. non lasciamo che sia solo il Papa o qualche vescovo o genericamente la Caritas a dare voce alla questione dei migranti.

“Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (At 2,44-45). L’ideale della prima comunità cristiana pare così distante dalla realtà odierna! Per fare della migrazione una scelta davvero libera, bisogna sforzarsi di garantire a tutti un’equa partecipazione al bene comune, il rispetto dei diritti fondamentali e l’accesso allo sviluppo umano integrale. Solo così si potrà offrire ad ognuno la possibilità di vivere dignitosamente e realizzarsi personalmente e come famiglia.
È chiaro che il compito principale spetta ai Paesi di origine e ai loro governanti, chiamati ad esercitare la buona politica, trasparente, onesta, lungimirante e al servizio di tutti, specialmente dei più vulnerabili. Essi però devono essere messi in condizione di fare questo, senza trovarsi depredati delle proprie risorse naturali e umane e senza ingerenze esterne tese a favorire gli interessi di pochi.

E lì dove le circostanze permettano di scegliere se migrare o restare, si dovrà comunque garantire che tale scelta sia informata e ponderata, onde evitare che tanti uomini, donne e bambini cadano vittime di rischiose illusioni o di trafficanti senza scrupoli”. L’affanno per l’accoglienza deve essere compensato da un atteggiamento di corresponsabilità nei confronti di un bene comune che va oltre i confini nazionali.

Il discorso si allarga perché ci pone di fronte a quel bisogno di fraternità universale che aleggia sulle nostre comunità ma che si deve incarnare nelle strade dell’oggi. C’è bisogno di una coscienza universale. Di un ascolto globale per orientare il discernimento necessario perché tutti e ciascuno assumano responsabilità e compiti di respiro che, uscendo da mentalità e prassi emergenziale, operino per uno sviluppo e una convivenza umana come Dio comanda! Facendo riferimento al citato brano degli Atti sono necessari, a mio avviso, tempi e spazi per una condivisione di pensiero in grado di generare una nuova mentalità, una nuova presenza, una cittadinanza attiva che orienti strategie pubbliche per non navigare da soli e non naufragare nel mare delle dichiarazioni e delle soluzioni brevi.
Direttore
Fondazione Auxilium

Fonte: Il Cittadino
Fuga dall'Africa, terra depredata dai paesi occidentali e asiatici
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