Comunità diocesana
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Richiedenti asilo: un progetto di vera integrazione

La Diocesi di Genova per l'accoglienza dei profughi

Richiedenti asilo: un progetto di vera integrazione

Papa Francesco ci dice che le persone sfollate "ci offrono questa opportunità di incontro con il Signore, anche se i nostri occhi fanno fatica a riconoscerlo: coi vestiti rotti, con i piedi sporchi, col volto deformato, il corpo piagato, incapace di parlare la nostra lingua. Si tratta di una sfida pastorale alla quale siamo chiamati a rispondere con i quattro verbi che ho indicato nel Messaggio per questa stessa Giornata nel 2018: accogliere, proteggere, promuovere e integrare".
Dopo il responsabile ripensamento della Prefettura di Genova affinché l’accoglienza dei richiedenti asilo potesse essere una vera opportunità anziché la gestione di un problema, la Chiesa genovese presenterà un progetto che parte dalle intuizioni di Papa Francesco.

Accogliere significa smetterla di voltarsi dall’altra parte e lasciare che la gente muoia miserabilmente nel viaggio della speranza.
Proteggere vuol dire rendersi conto che ognuno di noi ha avuto la fortuna di non vedere la guerra, di non perdere la casa, di non sfamare se stesso e i propri figli. Abbiamo quindi l’impegno morale non solo della carità ma il dovere di condividere.
Promuovere significa imparare a rendersi conto che l’altro non è mai un problema ma anzi una vera e propria risorsa. Significa dare valore a tutti, ciascuno per i suoi doni, le sue conoscenze, la sua storia, il suo cuore. Tutti, ma proprio tutti, sono in grado di dare qualcosa. Anche i più poveri e deboli. Fosse anche solo un sorriso. Quanto bisogno abbiamo di sorrisi oggi?!
Integrare, infine, ci dice che dobbiamo diventare amici.
Significa cambiare tutti un po’ e cominciare a stimare “lo straniero invasore” come il “fratello portatore di doni”. Dobbiamo partire dall’incontro personale e senza pregiudizi.

L’odierna situazione dei richiedenti asilo presenta una criticità dovuta alla visione semplicemente alloggiativa e assistenziale aggravatasi dall’ultimo decreto governativo sulla sicurezza. Molte persone, uomini, donne e figli, usciti a fine del percorso di emergenza delle nostre realtà non hanno più potuto accedere, come prima, ai percorsi integrativi dello SPRAR (ora Siproimi) che aiutavano un inserimento abitativo e lavorativo quanti avevano avuto il permesso. La stragrande maggioranza di quanti erano ospitati nelle nostre case genovesi, non avendo ricevuto i documenti perché è stato cancellato il permesso per “motivi umanitari”, sono diventati dei senza tetto che vagano, anche in questo momento di rischio di contagio, per le strade senza trovare un letto per dormire, senza documenti per lavorare e quindi, spesso, nelle mani di chi li sfrutta illegalmente per dare loro il minimo per la sopravvivenza. Nell’attesa che venga, come promesso dal Ministero, reintegrato in un qualche modo un “permesso per motivi umanitari” dobbiamo lavorare sulla speranza. Ormai per molti il cammino è senza futuro e si abbandonano a se stessi senza sapere cosa fare.

Dobbiamo ripartire dalla speranza, dalle grandi motivazioni per ricominciare le scuole di italiano e professionali di cucina, sartoria, falegnameria, manutenzione edile, agricoltura, cura della persona e altri campi che consentano, un domani, di diventare autosufficienti.
Senza documenti, però, non si può affittare una casa, avere un contratto di lavoro, pagare le tasse e davvero non si potrà mai integrarsi vivendo sempre come una minoranza sfruttata, legata al disagio economico e al colore della pelle e al paese di provenienza.

Il territorio genovese, da sempre accogliente, ha già dato molte forme di accoglienza spicciola, di relazioni personali anche solo imparando il nome di qualcuno o chiedendo notizie della sua famiglia.
Il progetto della Chiesa di Genova parte allora da qui: dalla persona e dalla relazione di amicizia. Certo con tante idee e cose concrete, con suggerimenti e innovazioni, ma senza mai prescindere dalle persone.
Volere bene al nostro territorio, alla nostra città, al nostro quartiere parte proprio dal non fare sentire più nessuno straniero. La sicurezza di un luogo parte dal benessere di tutti quelli che ci vivono e dalle loro relazioni di appartenenza alla comunità residenziale senza cercare altre “cittadinanze” magari in qualche banda o manipolo di poco di buono. Ce lo ricorda ancora il Santo Padre che termina il suo discorso sulla Giornata Internazionale del Profugo e Rifugiato dicendo: “Per preservare la casa comune e farla somigliare sempre più al progetto originale di Dio, dobbiamo impegnarci a garantire la cooperazione internazionale, la solidarietà globale e l’impegno locale, senza lasciare fuori nessuno.”

*Direttore Ufficio Migrantes

Fonte: Il Cittadino
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