La parola
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25a Domenica Tempo Ordinario (anno A), Matteo 20 ,1-16

Sei invidioso perché io sono buono?

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto.

La parabola, propria di Matteo, degli operai chiamati a lavorare nella vigna a diverse ore del giorno, intende mettere in crisi una nostra immagine di "giustizia" fondata sostanzialmente sui meriti, e mostrare l'agire libero di Dio, che opera per grazia. I lavoratori chiamati all'alba e che, al momento della paga, si lamentano e mormorano contro il padrone della vigna, rappresentano, in modo efficace, il sordo e amaro rancore dei giusti, indispettiti e infastiditi dalla generosità del Signore, che trascende le misure della stretta giustizia: sono gli scribi e i farisei che, davanti alla predilezione di Gesù per i peccatori e per i perduti, si scandalizzano e giudicano, incapaci di partecipare di una misericordia così sorprendente, come il figlio maggiore della famosa parabola di Luca (Lc 15,11-32), che non entra a fare festa per il fratello ritornato a casa e protesta con il padre, facendo valere il suo comportamento irreprensibile. È lo scandalo del fariseo Saulo, che, prima dell'incontro con il Risorto, poteva vantarsi di essere perfetto e irreprensibile nella giustizia della Legge (Fil 3,5-6), è lo scandalo che può insinuarsi nel cuore di chi si sente più giusto, più a posto degli altri, e che invece di gioire di come Dio agisca nella vita degli uomini, talvolta trasformando il cuore di chi era considerato un "lontano", prova un'invidia cattiva, che si nasconde sotto le vesti di un facile moralismo, pronto sempre a dividere gli altri in categorie. Dunque Gesù racconta la parabola proprio per provocare i benpensanti, gli onesti che si fanno giudici impietosi dei fratelli e per smascherare l'errore dei "primi": questi, infatti, invece di riconoscere il dono di essere stati subito chiamati a lavorare nella vigna, vedono solo l'aspetto negativo, "il peso della giornata e il caldo", sono come quei credenti che, in fondo, vivono la fede e l'esistenza cristiana non come una sorgente di gioia e di fecondità, pur nell'inevitabile fatica, ma come un peso e nutrono una nascosta invidia per chi non deve obbedire a tanti precetti. Inoltre, non entrano nella logica del loro signore, che conosce la giustizia, per cui egli dà loro il denaro pattuito, ma è capace anche d'essere buono e generoso, dando lo stesso a tutti i chiamati, e realizzando una giustizia eccessiva e debordante: "Il Signore chiama prima gli ultimi per sorprendere i primi. Questi ragionano in termini di merito. Se gli ultimi hanno ricevuto per grazia oltre ogni merito, essi vogliono ricevere più di loro, ma per merito e non per grazia. Riducono a merito anche la grazia!" (S. Fausti). C'è, nella parabola, una specie di progressione, perché con i primi chiamati, fin dall'inizio, il padrone si accorda per una cifra precisa, "un denaro al giorno", che era la paga normale di chi lavorava a giornata, con quelli trovati alle nove, a mezzogiorno e alle tre, è sufficiente un'indicazione più generica ("Quello che è giusto, ve lo darò"), perché più scorre il tempo, più è strano che un padrone esca a prendere lavoratori per la sua vigna; a quelli che ricevono l'invito alle cinque, quando ormai manca solo un'ora di luce per lavorare e nessuno si mette a cercare salariati alla fine della giornata, non viene promesso nulla, perché è già pura grazia l'essere chiamati a lavorare nella vigna e questi ultimi, che sono rimasti disoccupati tutto il giorno, non potevano assolutamente immaginare una tale chiamata "in extremis". È ciò che sta accadendo con Gesù e che continua ad accadere nella nostra storia, quando Dio, a più riprese, esce e va a chiamare uomini a lavorare nella vigna del Regno, per portare frutti buoni di vita: ci sono i primi, come Israele stesso, come tutti coloro che fin dall'inizio della loro vita sono raggiunti da questa chiamata, e che rischiano di smarrire il senso del dono che li ha toccati; ci sono coloro che, in tempi diversi, in momenti diversi della loro esistenza, si scoprono anch'essi chiamati, e con cuore grato accolgono l'invito; ci sono infine gli ultimi, sui quali nessuno ormai sperava, e che invece, imprevedibilmente sono convocati nella vigna del Signore e si riconoscono investiti di una grazia totalmente immeritata. La prospettiva finale è questo rovesciamento che è salvezza per tutti: per gli ultimi, che diventano i primi e per i primi che, diventando ultimi, potranno partecipare al destino di questi ultimi, salvati per grazia e non per meriti acquisiti.

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