La parola
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2a domenica di Quaresima - anno B, Marco 9, 2-10

Questi è il Figlio mio, l'amato

In tutti i tre vangeli sinottici, dopo la confessione di fede, da parte di Pietro, e il primo annuncio delle sofferenze, della morte e della risurrezione, da parte di Gesù, incontriamo il racconto della trasfigurazione del Signore, su un alto monte: dunque, nel momento in cui si intravede il destino finale del Maestro, e davanti all'incomprensione profonda dei discepoli, si colloca questo mistero di luce e di gloria.

Questi è il Figlio mio, l'amato

In tutti i tre vangeli sinottici, dopo la confessione di fede, da parte di Pietro, e il primo annuncio delle sofferenze, della morte e della risurrezione, da parte di Gesù, incontriamo il racconto della trasfigurazione del Signore, su un alto monte: dunque, nel momento in cui si intravede il destino finale del Maestro, e davanti all'incomprensione profonda dei discepoli, si colloca questo mistero di luce e di gloria. Nel cammino quaresimale, dominato dall'annuncio della croce, è come se ci venisse ricordato che lo sbocco finale di questo dramma è la vita, è la gloria: tutti gli elementi di questa teofania, così vivacemente richiamati da Marco, mostrano la presenza nascosta, nell'umiltà della carne del Nazareno, di una dignità divina. Le vesti spendenti, bianchissime, la nube che avvolge con la sua ombra i tre discepoli, la voce del Padre che indica il Figlio amato, tutto esprime il mistero divino, che dimora nella persona di Cristo: davvero, in Lui 'abita corporalmente la pienezza della divinità' (Col 2,9). Numerosi sono i richiami e le allusioni a testi e momenti dell'Antico Testamento, in questa scena di rivelazione, quasi un intreccio sottile di motivi, che tendono a illustrare la novità singolare di Cristo: il monte anonimo su cui Gesù sale con i tre apostoli, rimanda al monte della prima rivelazione, il Sinai, dove Mosè salì con Aronne, Nadab e Abiu, insieme ai settanta anziani (Es 24,1.9); le figure di Elia e Mosè rappresentano la grande eredità della profezia e della Legge; la strana parola di Pietro, che vuole costruire tre tende ('capanne' nella nuova traduzione) sembra alludere alla festa delle tende, nella quale gli Israeliti costruiscono delle capanne, per ricordare la loro permanenza nel deserto; il segno della nube, che copre i tre discepoli con la sua ombra, è un evidente ripresa della nube della gloria, che avvolgeva la dimora nel deserto (Es 40,35-35); infine la parola del Padre, che ordina di ascoltare il suo Figlio amato, è eco dell'invito ad ascoltare il profeta escatologico, pari a Mosé, annunciato in Dt 18,15 ('Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto'). Tutte queste allusioni ci fanno percepire che non è possibile comprendere pienamente la persona di Cristo e la ricchezza inesauribile della sua presenza, senza ascoltare con attenzione le sacre Scritture, ed è per questo motivo che la Chiesa ha voluto mantenere e custodire gli scritti della prima Alleanza, e si nutre anche di essi nella sua vita e nella sua liturgia. D'altra parte, la realtà che si rivela in Gesù, supera ogni attesa, ogni immagine, ogni annuncio: è qualcosa di assolutamente sorprendente che la gloria dell'Eterno abbia il volto di carne di un uomo, che sia Lui la nuova e definitiva dimora di Dio, in mezzo al suo popolo, e che, in fondo, tutta la Rivelazione si concentri e si raccolga nella sua persona. Veramente la tenda di Dio tra noi è il suo Figlio, fatto uomo, il Verbo incarnato, che è venuto ad abitare con noi, e, paradossalmente, la gloria divina è una gloria velata, che conoscerà il supremo nascondimento nella croce, nell'umiliazione, nella morte. I tre discepoli prediletti, Pietro, Giacomo e Giovanni, saranno testimoni dell'angoscia e della debolezza di Gesù, nell'orto degli Ulivi, e quel volto che ora risplende di luce, si velerà di tristezza, di timore, da tutti abbandonato e deriso. Il mistero della Trasfigurazione, nel cammino verso Gerusalemme, anticipa la rivelazione di questa gloria, che avrà la forma di un amore crocifisso, e che diverrà luminosa nella svolta della risurrezione; in questo modo, l'evangelista vuole che non perdiamo di vista la vera identità di questo Messia, che cammina incontro alla passione e alla morte, ed indica la strada che, in varie maniere, sarà percorsa dai discepoli di ogni tempo: per crucem ad gloriam, per crucem ad lucem. Non caso, il culmine della seconda parte del vangelo di Marco sarà la confessione di fede del centurione, che saprà riconoscere in Gesù crocifisso il Figlio di Dio, nell'ora del massimo nascondimento e dell'apparente silenzio di Dio. Così, dunque, siamo ricondotti al cuore della nostra fede, che si raccoglie nella persona di Cristo, il Figlio, l'amato del Padre, e che si realizza come ascolto e come sguardo rivolto a Gesù: l'unico comando, che i discepoli ricevono sul monte, è 'Ascoltatelo! Ascoltate lui!', perché Lui è la parola vivente di Dio, Lui è la nuova Legge; e quando vengono meno tutte le immagini, le visioni di Elia e Mosè, i tre discepoli non vedono più nessuno 'se non Gesù solo, con loro'. Non occorre altro per proseguire il cammino, la Sua presenza che continua a farsi parola da ascoltare e volto da guardare, anche per noi.

Questi è il Figlio mio, l'amato
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