La parola
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Natale del Signore, Dal Vangelo secondo Luca (2,1-14)

Oggi è nato per voi un Salvatore

Il racconto della nascita di Gesù secondo il Vangelo di Luca (2,1-14) si apre con un’indicazione cronologica: l’espressione «in quei giorni» (v. 1), i «giorni di Erode, re della Giudea» (1,5), inserisce i nuovi eventi nel flusso temporale dei precedenti, operando però contestualmente un enorme allargamento di orizzonte. Il decreto imperiale che ordina il censimento ha, infatti, una dimensione universale, sia per l’autorità che lo promulga, sia per il suo effetto su «tutta la terra» (v. 1). Tuttavia, la storicità di questo avvenimento è molto discussa: non risulta da alcuna fonte che Augusto abbia mai ordinato un censimento unico per tutto l’impero (nonostante l’uso frequente di questo strumento di controllo politico durante il suo regno). È certo, invece, che un censimento vi fu in Giudea (ma non in Galilea), dopo la deposizione di Archelao (uno dei figli di Erode, deposto nel 6 d. C.), e in quell’occasione il legato di Siria era Quirinio. Secondo Luca, però, al momento della nascita di Gesù, il re Erode è ancora vivo (la data certa della morte è il 4 a. C.): dunque, la cronologia lucana è incompatibile con i dati storici.

Per quale ragione, allora, l’autore si serve di questo dubbio avvenimento, per introdurre il suo racconto sulla nascita del Messia? Probabilmente, a Luca serve un inizio solenne (come più avanti, in 3,1-2), e questo gli offre anche l’occasione di un contrasto impressionante tra l’imperatore conosciuto da tutti e il Messia nascosto. In secondo luogo, la propaganda imperiale (testimoniata da numerose iscrizioni) presenta Augusto come salvatore di tutto il mondo e la sua nascita come una buona notizia (letteralmente, un “vangelo”) di pace universale: sarebbe, dunque, evidente la polemica contenuta nelle affermazioni corrispondenti, riferite a un altro, oscuro ma autentico Salvatore, e presentate nell’annuncio dell’angelo ai pastori (vv. 10-11). Ancora, il ricordo del censimento di Quirinio era doloroso, a causa dei disordini politici e ideologici seguiti alla sua esecuzione: questo censimento generale, invece, porta pace e salvezza. Da ultimo, probabilmente Luca conosce una lezione del Salmo 86 (87), contenuta nella versione greca detta Quinta, che sembra annunciare la nascita del re Messia nel corso di un censimento universale dei popoli.

In ogni caso, le inesattezze storiche proseguono, perché l’autore informa che «tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città» (v. 3). I censimenti prescrivono il ritorno al domicilio, non al luogo d’origine. Anche qui, Luca corregge il dato storico, per collocare la nascita del Messia non nell’insignificante Nazaret, ma a Betlemme, la «città di Davide» (v. 4). Così, Giuseppe, che appartiene appunto «alla casa e alla famiglia di Davide» (v. 4), si mette in cammino, insieme alla promessa sposa (variante meglio attestata del semplice “sposa”), che è incinta (v. 5): anche se, nel giudaismo, il fidanzamento fonda l’obbligo a contrarre matrimonio, la frase rimane molto provocante.

Il viaggio non è in alcun modo descritto: semplicemente, «mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei [Maria] i giorni del parto» (v. 6) e «diede alla luce il suo figlio primogenito» (v. 7a). Niente di più ordinario, naturale e umano. Unico elemento originale, l’informazione che il bambino è posto «in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (v. 7b). Le parole usate da Luca per descrivere questa scena sono molto imprecise: probabilmente, si tratta della stanza per passare la notte (in una casa privata: difficilmente si tratta di un posto pubblico), e della greppia per gli animali, ricavata nel locale adiacente, sempre all’interno dell’abitazione.

A questo punto, improvvisamente, l’attenzione del narratore si allontana dal bambino appena venuto alla luce e si concentra su un nuovo annuncio: per la terza volta dall’inizio del racconto, un «angelo del Signore» sopraggiunge a recare una notizia, accompagnato dalla «gloria di Dio» (v. 9). Destinatari, alcuni pastori che vegliano nella notte il loro gregge (v. 8). Essi sono i rappresentanti del popolo (v. 10) e la loro presenza risuona da una parte di un’eco davidica e messianica (Davide è il re-pastore per eccellenza), dall’altra risente probabilmente anche di un ricordo di temi pagani (la scoperta di un bambino regale e nascosto).

Le parole dell’angelo sono eloquenti: egli “evangelizza” la gioia (cioè “annuncia una buona notizia di gioia”), che consiste nella nascita «oggi» e «per voi» (v. 11a) di un Salvatore, indicato come Cristo e Signore (v. 11b). «Oggi» dice che il tempo della promessa è finito ed è giunto il suo compimento.

Segue, inattesa, l’offerta di un «segno» (v. 12): «troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (v. 12). Poiché avvolgere un bambino in fasce è normale, il segno propriamente detto è la mangiatoia. Segno stupefacente, perché identico alla cosa significata: in altre parole, Gesù, il bambino adagiato nella greppia, è il segno di Gesù Salvatore. L’opera straordinaria di Dio si mostra in un singolare e inaudito abbassamento.

A commento conclusivo, «improvvisamente» (v. 13), un coro di angeli canta la sua lode, unendo cielo e terra, gloria di Dio e pace tra gli uomini. Il cuore dell’inno è la contemplazione della volontà benevolente, carica di amore e di tenerezza, di Dio che salva gli uomini «che egli ama» (v. 14).

Paolo Bonassin

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