La parola
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16a domenica del Tempo Ordinario - anno A, Matteo 13, 24-43

Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura

Le parabole del Regno, che Matteo raccoglie in unico discorso e che stiamo ascoltando in queste domeniche, sono rivelazione del volto vero e originale di Dio, quel Dio che si fa visibile proprio nella persona e nella vita di Gesù: non si tratta di bei racconti edificanti e moraleggianti, ma di parole che dischiudono a noi l'agire paradossale di Dio e vogliono provocare una nostra decisione di fede.

Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura

Le parabole del Regno, che Matteo raccoglie in unico discorso e che stiamo ascoltando in queste domeniche, sono rivelazione del volto vero e originale di Dio, quel Dio che si fa visibile proprio nella persona e nella vita di Gesù: non si tratta di bei racconti edificanti e moraleggianti, ma di parole che dischiudono a noi l'agire paradossale di Dio e vogliono provocare una nostra decisione di fede. Nel passo proposto alla nostra attenzione, si susseguono tre parabole, che in modo differente, ci conducono a scoprire per quali vie il Regno di Dio si fa strada, nella storia degli uomini, per quali vie la sovranità salvifica del Padre è all'opera, ed emerge un evidente superamento delle nostre misure e dei nostri criteri: non è difficile vedere in queste parole un riflesso della concreta situazione vissuta dalle comunità di Matteo, situazione che appartiene alla vita e all'esperienza della Chiesa di ogni tempo. La prima parabola, quella della zizzania e del buon grano, racchiude quasi un'autentica teologia della storia, e mette in luce lo scandalo della pazienza di Dio, di fronte all'opera del nemico, di fronte al seme cattivo che cresce, insieme al seme buono; in fondo, la proposta dei servi di andare a sradicare la zizzania esprime un impeto di giustizia, che vuole anticipare il giudizio, che vuole separare nettamente il bene dal male, i figli del regno dai figli del Maligno. È la tentazione ricorrente, nella storia della Chiesa, d'inseguire un purismo assoluto, di costruire una comunità di soli perfetti, di prendere le distanze dalla concreta vita della comunità cristiana, fatta di uomini santi e peccatori, fragili e in cammino, per affermare un proprio modello di perfezione. Il Vangelo ci invita a diffidare di queste pretese, di accettare questa drammatica coesistenza della luce e delle tenebre, anche dentro la Chiesa del Signore, e, se mai, di essere noi vigili per non dare spazio al Maligno, per non permettere che in noi si radichi il seme cattivo, ben sapendo che il tempo sta sotto il giudizio di Cristo, che verrà l'ora della chiarezza e del discernimento, della separazione definitiva del grano e della zizzania. La seconda parabola mostra un altro tratto paradossale dell'opera di Dio, cioè, lo scarto immenso tra la piccolezza, l'apparente insignificanza degli inizi, e lo sviluppo del Regno, nella trama dell'esistenza e della storia: non c'è proporzione tra il granello di senape, grande quanto un granello di sabbia, e l'albero maestoso a cui dà origine, e quest'immagine acquista concretezza se pensiamo a Gesù stesso, ai primi passi della sua rivelazione al mondo e alla comunità dei suoi discepoli, raccolti intorno a lui, al percorso di certi santi e testimoni, alle origini semplici e poco appariscenti di opere e comunità, che hanno sempre rinnovato la vita della Chiesa, ma, ancor più, se sappiamo leggere, nella nostra esistenza, le tracce umili e reali di una storia di grazia, che porta frutti e diviene feconda di bene. Anche qui, appare l'irriducibile differenza tra ciò che è di Dio e ciò che è degli uomini, tra ciò che nasce come progetto e iniziativa dell'uomo, e ciò che accade, per grazia, come irruzione di Dio nel tempo. Infine, la terza minuscola parabola, quella del lievito, che fa fermentare tutta la pasta, ci riporta non solo alla pochezza dell'inizio, ma soprattutto all'irresistibile forza di trasformazione, racchiusa nella verità del Vangelo: il lievito, se è tale, anche in modesta misura, esercita la sua azione, fa appunto lievitare la pasta, perché divenga buon pane per l'uomo. La forza del cristianesimo non è nelle quantità, non è nel possesso e nel dominio degli strumenti mondani, e quante volte i discepoli di Cristo hanno dimenticato questa verità, hanno confidato eccessivamente in forme di potere, e hanno dovuto sperimentare le amarezze di tanti fallimenti e compromessi: la potenza del Regno, che Cristo rende presente, è un'altra, e laddove c'è una vera fede in Lui, laddove le persone vivono la bellezza e la novità della Sua presenza, lì c'è un lievito che penetra, che trasforma, lì c'è il sapore di un pane buono, che è per tutti, lì prende forma, senza troppi progetti o schemi, un abbozzo di umanità nuova, resa più pura, più lieta, autentica trasparenza del Signore risorto.

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