La parola
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17a Domenica del tempo ordinario (anno B), Giovanni 6, 1-15

Distribuì a quelli che erano seduti quanto ne volevano

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».

P er alcune domeniche (da questa fino alla ventunesima), interrompiamo la lettura del vangelo di Marco e ci mettiamo in ascolto di un testo di particolare bellezza, tratto dal vangelo di Giovanni: è il capitolo 6°, con il racconto del segno dei pani (6,1-15) e il successivo discorso sul pane di vita, collocato nella sinagoga di Cafàrnao (6,24-69). Com'è caratteristico del quarto vangelo, c'è un intreccio tra segno e parola, che anticipa la struttura dell'esistenza cristiana, in quanto la rivelazione di Cristo ai credenti e la comunicazione della sua vita avviene sempre attraverso l'unione tra segno e parola: senza segno, la parola resta come sospesa, non acquista consistenza, ma senza parola, il segno può restare muto, o essere equivocato e frainteso, come appunto accade nel racconto dei pani. Si annuncia così la realtà tipica della vita credente, che è appunto una relazione, un incontro con Colui che ora si fa presente a noi, nell'unità vivente della parola e dei segni: non fatichiamo a ravvisare qui la radice del gesto sacramentale, che è sempre costituito dall'insieme di parola e segno, e che chiede d'essere vissuto nella disponibilità della fede, come riconoscimento amoroso del Signore ora operante in mezzo a noi e in noi.
Nel passo iniziale del capitolo sesto, Giovanni propone il racconto del segno, che è il celebre miracolo della moltiplicazione dei pani, ben attestato in tutti i vangeli, chiaramente riletto, avendo sullo sfondo i gesti di Gesù nell'ultima cena: "Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti". Nella narrazione giovannea vi sono alcuni tratti, che mettono in rilievo lo scarto tra il dono di Gesù e l'iniziale comprensione delle folle e dei discepoli: da una parte, tutta l'iniziativa è di Cristo, che vede la folla venire a lui, provoca i discepoli a procurare il pane per tutti, accetta i pani e i pesci, offerti da un ragazzo senza nome, e sembra agire da solo nel dare i pani e i pesci moltiplicati alla folla, lasciando ai discepoli solo il compito di raccogliere i pezzi avanzati; d'altra parte, appare fin dall'inizio il fraintendimento dei suoi interlocutori e dei suoi destinatari, perché Filippo avanza un'obiezione e Andrea, pur presentando il giovane disponibile a condivivere il poco che ha, mostra perplessità e scetticismo: "C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che cos'è questo per tanta gente?"; la folla, da parte sua, entusiasta del segno, acclama Gesù come il grande profeta promesso da Dio, e vuole "farlo re", secondo un'immagine messianica che Cristo rifiuta, fuggendo sul monte "lui da solo". L'incapacità, da parte della gente, di leggere i segni sarà proprio l'avvio del discorso sul pane di vita e alla fine del capitolo, in modo drammatico, l'evangelista mostrerà l'incomprensione e il rifiuto delle folle, davanti alla parola inaudita di Cristo, e perfino l'abbandono di molti discepoli, perplessi dal linguaggio del Maestro. In questo modo, Giovanni mette davanti a noi una realtà che si ripresenta costantemente nel cammino dei credenti, in questo mondo e in questo tempo: c'è un'eccedenza del dono, che proviene da Gesù e che, al fondo, è Lui stesso, pane vivo e vero, disceso dal cielo, rispetto alle attese, ai bisogni e ai criteri degli uomini, perché il gesto di Cristo, così com'è descritto nel racconto, è totalmente gratuito, è un'azione libera che non si lascia misurare e costringere dalle misure umane, e la sovrabbondanza dei pani e dei pesci, avanzati in grande quantità, rappresenta visibilmente tutto ciò. Come apparirà chiaramente nel successivo discorso, il pane elargito con divina generosità nel "luogo deserto" richiama la manna, pane "disceso dal cielo", che ha nutrito Israele nel cammino del deserto, ed annuncia il pane vero, quello capace di saziare realmente la fame di vita, che è nell'uomo. Ma questa fame, che può essere soffocata o ridotta a livello di soddisfazione di tanti bisogni, ha in sé una profondità inesauribile, - nulla sazia fino in fondo il cuore dell'uomo -, perché è a misura del desiderio di Dio. La fame di vita e di verità, significata dal bisogno fisico del pane, non è una maledizione, né tanto meno un limite, ma è la stessa verità del nostro essere uomini, fatti per Dio: una verità che vibra nell'essere, e che è ordinata alla verità e alla realtà viva di Dio. Prima del bisogno dell'uomo, c'è il desiderio di Dio di consegnarsi all'uomo, per comunicargli la vita in abbondanza, e Gesù, compie, senza alcuna richiesta, il segno dei pani, perché gli uomini riscoprano la vera fame, che non nasce dalla misura ridotta dei loro bisogni, ma dall'ampiezza del loro cuore, chiamato a vivere di Dio, a misura del desiderio di Dio, e si offre a noi come "pane di Dio che discende dal cielo", un pane che non può essere comprato, ma solo accolto e ricevuto nella semplicità della fede.

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