La parola
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Chi non è contro di noi è per noi

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (domenica 30 settembre)

In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue». 

Lo Spirito di Dio spira dove e come vuole. Sia per la santificazione individuale, sia con carismi destinati al progresso spirituale e morale della comunità. Può servirsi degli strumenti più impensati.  L’uomo dev’essere sempre disponibile allo Spirito.

Con umiltà, senza propri parametri precostituiti. Ma pure senza equivoci o illusioni. Tra queste, la sensazione di autonomia da tutti, anche da Dio, che può derivare dalla ricchezza. L’uso dei beni terreni, condiviso, finalizzato al benessere di chi è indigente, può diventare riflesso della provvidenza divina; se è guidato esclusivamente dall'egoismo, diventa cupidigia che può generare anche ingiustizia e violenza, crescente insoddisfazione, insaziabilità; ma soprattutto causa di miseria eterna. 

 

Chi divinizza i beni terreni in opposizione ai beni spirituali, non può vivere di questi nell’eternità, in Dio. L’Evangelista riferisce una serie di insegnamenti di Gesù ai discepoli concernenti gli estranei, gli altri credenti e se stessi. Verso gli estranei, ma simpatizzanti verso la fede: l’invito al rispetto e ad una fiduciosa attesa, scorgendo in essi una sintonia interiore con lui, fondamentale e suscettibile di ulteriori sviluppi. Verso i fratelli di fede: 1’esortazione alla sollecitudine sul piano materiale, venendo incontro ai minimi bisogni e sul piano spirituale, evitando qualsiasi cosa che possa turbarli. Verso se stessi: Gesù impone i più gravi sacrifici, anche di cose buone, doni di Dio stesso, come segno della risposta piena ed eroicamente fiduciosa alla volontà divina.

L’occasione è data da Giovanni, il quale, addentellandosi alle ultime parole di Gesù – “chi accoglie un bambino nel mio nome, accoglie me” – si sente in colpa e confessa con semplicità e franchezza: “abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri”. La proibizione era dettata dalla preoccupazione di salvaguardare l’onore del Maestro.

Poiché Giovanni espone con sincerità lo scrupolo di aver avuto un atteggiamento contrario ad una persona, la quale agiva proprio “nel suo nome”, Gesù lo corregge, senza tuttavia rimproverarlo: “non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa palare male di me. Chi non è contro di noi è per noi”.

Fare un miracolo in nome di Cristo, cioè invocando la sua potenza, non è necessariamente indice di santità personale, tuttavia è almeno segno che il taumaturgo riconosce la superiorità di Cristo.

Invocare la sua intercessione, suppone adesione alla provvidenza soprannaturale di Dio, che si esercita in Cristo e, in definitiva, costituisce atto di fiducia nel suo carisma, seppur non ancora di fede piena. Se l’esorcismo ha effetto, significa che Dio ha accolto l’invocazione “nel nome” di Gesù, riconoscendo la sincera disposizione d’animo dell’esorcista. Altrimenti l’esorcismo non avrebbe effetto.

Come accadrà ad Efeso, allorché si faranno avanti “alcuni esorcisti ambulanti giudei”, i quali pretenderanno di cacciare i demoni, usando il nome di Gesù, ma senza successo – anzi sopraffatti violentemente dagli spiriti maligni – perché privi della fede in Gesù e animati soltanto dal loro vantaggio (At 19, 13 ss).

L’esorcista ebreo, che caccia i demoni nel nome di Cristo, benché non visibilmente legato al gruppo dei discepoli, vi appartiene già virtualmente: la sua fede è iniziale, ma sincera, suscettibile di consolidamento.

La sentenza di Gesù – “chi non è contro di noi è per noi” – è assiomatica e decisiva. Non esiste che un’alternativa: o con Cristo e con gli Apostoli o contro di lui e contro di loro.

Gesù riprende il discorso sull’accoglienza, in suo nome, al più umile dei suoi discepoli, prova dell’accoglienza a lui stesso e al Padre che l’ha mandato, aggiungendo che il più piccolo segno di benevolenza – “un bicchiere d'acqua” – ha valore, è meritevole di ricompensa se compiuto nei confronti di chi è in comunione con lui. Al contrario chi crea inciampo, “chi scandalizza uno di questi piccoli”, deve essere punito: gettato in mare, legato ad una pietra da macina, quella che viene fatta girare dal giumento. Una punizione umana. 

Ben più grave il castigo divino, nell’eternità: l’Inferno, simboleggiato dalla Geenna o Valle dell'Hinnon, a sud di Gerusalemme, in cui in certi periodi, in onore del dio Moloch, erano stati immolati sul fuoco fanciulli e fanciulle (2° Re 23,10; Gr 32,35); all’epoca di Gesù è luogo in cui vengono bruciati i rifiuti. “Il verme che non muore e il fuoco che non estingue” – citazione di Isaia (66, 25) – rimarcano la ripugnanza, la penosità e la perennità della punizione. Per scongiurare tale eventualità, occorre essere disposti al sacrificio: anche di ciò che appartiene alla normalità umana, qualora diventi impedimento, inciampo – “scandalo” – per la vita spirituale e morale, propria o altrui.

E’ indispensabile eliminare tutto quanto, in qualche modo, è occasione di peccato.

Con tre massime, ugualmente ritmate, allo scopo di renderle incisive, Gesù ribadisce l'austero insegnamento: “se la tua mano ti scandalizza, tagliala... se il tuo piede ti scandalizza, taglialo... se il tuo occhio ti scandalizza, càvalo”.

Quanto è utile all’esistenza terrena, è superfluo per la vita eterna, mentre tesaurizzare ciò che è terreno, come bene assoluto, porta alla dannazione eterna: meglio entrare nel regno di Dio, nella vita eterna monchi, zoppi e ciechi, piuttosto che andare all’Inferno, con le proprie membra integre, ma divenute causa di peccato, di avversione a Dio, rifiutando la sua legge.

Fonte: Il Cittadino
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