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Nuovo governo alle prese con il Recovery Fund

Sul tavolo anche le crisi delle grandi aziende e la mancanza di posti di lavoro

Il nuovo Presidente del Consiglio Mario Draghi, in occasione dei suoi interventi alla Camera ed al Senato, pur confermando che "le direttive del piano italiano resteranno quelle enunciate nei precedenti documenti del governo uscente" ha rimarcato come "potranno essere rimodulate e riaccorporate", mettendo una serie di paletti che di fatto cambiano completamente la filosofia del piano legando e vincolando gli investimenti individuati o confermati dal nuovo esecutivo alle improcrastinabili riforme della pubblica amministrazione, del fisco, della scuola e della giustizia come continuamente sollecitato da Bruxelles.

Il premier Draghi ha in più volte sottolineato come il nuovo governo debba rafforzare il Programma prima di tutto per quanto riguarda gli obbiettivi strategici e le riforme che li accompagnano: "Queste risorse dovranno essere spese puntando a migliorare il potenziale di crescita della nostra economia". Il secondo tema finalmente affrontato da Draghi, dopo mesi di inutili e roboanti proclami, è quello relativo all'entità della spesa: non è necessario che vengano utilizzati tutti i fondi messi a disposizione dell'Italia dal momento che ad oggi non sappiamo ancora come dovrebbero essere spesi utilmente i 209 miliardi di euro del Recovery Fund e per la parte del debito abbiamo molto più tempo con una scadenza al 2023.
La strategia di Mario Draghi di utilizzare, in una prima fase, solo gli 82 miliardi della componente sovvenzioni del Next Generation Eu, rinunciando per ora alla parte a debito su cui potremo prendere una posizione definitiva in futuro, si allinea con le decisioni già prese da Spagna e Portogallo con la Francia che sembra decisa a seguire questa strada e ridisegna completamente la strategia del nostro paese e mette le basi per evitare che questi fondi possano trasformarsi da una grande opportunità di ripresa ad un drammatico fardello per le generazioni future.
All'approccio seguito fino ad ora che, fin dal primo momento, sembrava improntato ad inventarsi un modo per spendere l'intero ammontare delle risorse messe a nostra disposizione si contrappone ora una strategia improntata a fare debito solo se buono.
Il premier Draghi ha dichiarato: "La quota di prestiti aggiuntivi che si richiedono tramite la principale componente del programma, lo strumento per la ripresa e la resilienza, dovrà essere modulata in base agli obbiettivi di finanza pubblica" sottolineando come per prima cosa sia necessario capire di cosa si ha effettivamente bisogno e poi cercare di trovare gli strumenti per soddisfare queste esigenze, abbandonando formule autopromozionali e slogan come accaduto fino ad oggi per la scuola o per il famoso "digitale", dove si prevedeva di destinare risorse per 50 miliardi di euro ma senza nessun programma realizzabile e solo con un contenitore vuoto.
Il Commissario europeo all'Economia Gentiloni, presentando le previsioni economiche d'inverno dell'Ue, ha sottolineato come a causa della pandemia da Covid19 i rischi restano elevati, ed è necessario che si vada avanti con le misure di sostegno. Secondo Gentiloni, "Nessuno Stato membro tornerà nel 2022 alle proiezioni di crescita che aveva prima della crisi".
Si tratta di valori lontanissimi da quelli stimati dal vecchio governo, aggravati anche dalla convinzione di Bruxelles "che il Pil non tonerà ai livelli del 2019 entro il 2022" e che tutt'ora persistono "rischi elevati sull'economia", che renderanno ancora più difficile il lavoro dell'esecutivo guidato da Draghi che dovrà completamente rivedere la legge di Bilancio per evitare di prendere, ancora una volta, impegni in Europa che poi non potrebbero essere mantenuti con una nuova ulteriore perdita di credibilità.
Il paese si trova ad affrontare grandi sfide, con la Previdenza che con la pandemia da Covid19 è arrivata a pesare sul Pil il 14,5 %, con 100mila nuovi assegni e 700mila occupati in meno tra i non protetti dal blocco dei licenziamenti, e 230 miliardi spesi per le pensioni, di cui 209 coperti con i contributi versati dai lavoratori e 21 miliardi in deficit trasferiti dallo Stato, ed una previsione per il 2021 di un disavanzo di 31 miliardi e per il 2022 di 26.
Recentemente il presidente dell'Inps Pasquale Tridico ha anche sottolineato un'anomalia solo italiana nel panorama europeo e cioè come il 48 % dei pensionati italiani, pari a 7,7 milioni su 16, benefici oltre al trattamento pensionistico maturato in modo regolare anche di prestazioni assistenziali come l'indennità di accompagnamento, gli assegni sociali, le pensioni di guerra, le prestazioni per invalidi civili, le integrazioni al minimo, le maggiorazioni sociali ed infine le quattordicesime. Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali, nell'ottavo Rapporto presentato alla Camera dei deputati ha rimarcato come "E' assurdo pensare che in una paese del G7 come l'Italia quasi metà dei suoi pensionati non sia stata in grado di versare neppure 15-17 anni di contributi regolari e debba essere assistita dallo Stato", sollecitando la politica "A riflettere su questi numeri, perché non sembrano rispecchiare le condizioni socio-economiche del Paese".
L'auspicio per il futuro del nostro paese e delle nuove generazioni è che il nuovo governo, con il pieno supporto del Parlamento, riesca rapidamente a disegnare e mettere in atto un grande piano di ripartenza economica e sociale cercando prioritariamente una soluzione per le oltre 100 grandi crisi sul tavolo del Ministro del lavoro, dall'Ilva di Taranto e dall'Alitalia alla Whirpool, con una politica nuova finalizzata a ricreare un tessuto industriale in cui il paese potrà trovare le risorse economiche e morali per una seria rinascita offrendo ai giovani ed ai più fragili un lavoro sicuro che possa garantire a tutti una vera dignità che è impossibile trovare nell'assistenzialismo.

Fonte: Il Cittadino
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