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Covid-19: non è l’unica pandemia nel mondo di oggi

La reclusione e l’isolamento indotti dal Coronavirus allontanano e distolgono dalle grandi tragedie dell’umanità

Non di solo Covid muore l’uomo, ma di ogni pandemia che si nasconde negli angoli del mondo! Si muore per malattia, per paura, per annegamento ma anche per perdita di senso o perché soffocati da egoismo indifferente ed irresponsabile. Si ha ben voglia, in questi giorni, di ripetere: “Non preoccuparti di ciò che mangerai, di ciò che vestirai…”.
Qui non si sa dove si va a finire! O meglio si sa, ma si finge di non sapere perché rendersi conto ed accettare la sfida significa assumere responsabilità e impegni che costringono ad andare al di là delle paure, dello scontento, delle detestate limitazioni, dell’ansia e di pie pratiche intercedenti.
La seconda, prevedibile, ondata della pandemia ci sta rinchiudendo in una insopportabile agitazione, in una paura che ci segrega rispetto alle più ampie realtà del mondo, quello vicino delle nostre strade e quello lontano, quasi dimenticato se non appena apparso nel chiaroscuro delle elezioni americane.

Oppressi dai colori in cui si suddividono le aree del paese in base all’andamento dei contagi, ci stiamo abituando ad una vita (triste) a colori; così da quelli dell’allerta meteo siamo passati a quelli del contagio, dimenticando o evitando accuratamente il colore nero che accomuna le morti (che quasi passano inosservate) nelle nostre città e il colore della pelle di coloro che continuano a morire nel Mediterraneo.

Quella dei morti in mare è solo una delle tante pandemie che rappresentano le ombre scure del nostro mondo così come citate da Papa Francesco nella enciclica Fratelli tutti.
“Siamo tutti sulla stessa barca”, ritornello non proprio vero come ci ricordava il nostro Vescovo qualche sera fa in un incontro con i più stretti collaboratori della Fondazione Auxilium. Ed è proprio così: non tutti siamo sulla stessa barca tanto è vero che anche tra i migranti ci sono quelli che riescono nella dura e faticosa impresa di raggiungere terre più sicure e quelli che finiscono allineati inanimi sulla battigia. Fratelli tutti, ok, ma solo tra parenti stretti! Rispettando il colore delle aree di contagio.

Si respira un’aria di reclusione, di isolamento anche se in un modo o nell’altro si cerca di uscire, se non di trasgredire, per una boccata d’aria che odora di libertà e di liberazione ma che ci induce a salvare la pelle (nostra e non quella degli altri!, mors tua… indifferenza mea!) e soprattutto ci allontana dalle realtà pandemiche che da sempre affliggono l’umanità: migranti, campi profughi, focolai di guerra qua e là dimenticati, corruzioni, accaparramenti, disoccupazione, dipendenze, disuguaglianze che stanno progredendo a spron battuto anche tra le nostre strade ma che non interessano se non
a chi ci lucra sopra. Forse siamo anche noi tra coloro che preferiscono i muri ai passaggi? o preferiamo una fetta di buon prosciutto sugli occhi per non vedere chi tende la mano?

Avanza sempre di più in modo subdolo la pandemia della crescita, della produzione, del consumo che, opportunamente pilotata, ci vede sempre più come passeggeri a bordo di un mondo che gira verso l’esaurimento e non come cittadini che lo pilotano verso un futuro meno fosco, pensando un poco a chi verrà dopo di noi, ai nostri figli e nipoti.
Durante l’incontro in Auxilium il Vescovo ci ha invitato a sognare, ma a sognare il sogno di Dio. Il sogno, il disegno di Dio non è forse quello di essere fratelli tutti?!
Il Vescovo ci ha rincuorato e incoraggiato e non siamo stanchi di mettercela tutta perché le persone che accogliamo abbiano sempre un pezzo di pane, un letto, una stanza (dove da qualche giorno alloggiano persone che abbiamo accolto attraverso i “corridoi umanitari” avviati da Caritas Italiana), una mano che li protegga dal contagio, che dia un po’ di sicurezza e di speranza, che somministri un vaccino antiinfluenzale (intervento di questi giorni), che non renda le persone ancora una volta diverse, escluse.
Non siamo stanchi, non sono stanchi soprattutto gli operatori che ormai da mesi affrontano i rischi del contagio, la pesantezza di turni prolungati.
Sentiamo la vicinanza di quanti hanno sostenuto e sostengono il nostro lavoro ma ci rendiamo conto che domani, nei prossimi giorni e mesi saranno sempre di più le persone che busseranno alle nostre porte.
Sarà dura. Ce la faremo per quanto è possibile, ma sentiamo la mancanza di chi si può mettere al nostro fianco non tanto per un aiuto diretto, immediato a chi ha bisogno quanto per sviluppare una cultura degli incontri, delle relazioni, della solidarietà, della responsabilità che sconfigga un modello di vita che inevitabilmente continuerà a creare disuguaglianze.
Per quante risorse economiche si potranno raccogliere non saranno mai abbastanza se non si inverte la rotta, se non si lavora per valori e principi che possano dare all’umanità un volto di fraternità.

Forse i lettori de Il Cittadino avranno già letto mie righe sull’urgenza di un risveglio di responsabilità, della promozione di una cultura per l’uomo, per ogni uomo. Un conto è parlare di esercizio della carità che possiamo intendere come il sovvenire a chi è nel disagio, un conto è parlare di cultura della carità che significa impegno coerente per favorire una conversione, un cambiamento di mentalità che orienti diversamente le scelte della politica al servizio del bene comune.
Quale politica? Non è certo quella dei provvedimenti, del tentativo, pur necessario oggi, di equilibrare economia e salute, ritornare a PIL dignitosi. Occorre ripartire da una maturazione del senso sociale che deve superare l’individualismo e orientare ad una appartenenza che si traduca in reciprocità, rispetto, capacità di riconoscere ogni altro. Il vivere sociale non è una condanna “perché una cosa è sentirsi costretti a vivere insieme, altra cosa è apprezzare la ricchezza e la bellezza dei semi di vita comune che devono essere cercati e coltivati insieme” (Fratelli tutti).
Qui entra in gioco il nostro essere laici fedeli che hanno consapevolezza di una missione rivolta ad ogni uomo perché “l’uomo è via della Chiesa” (San Giovanni Paolo II, Redemptor hominis,1979).

*Direttore Fondazione Auxilium

Fonte: Il Cittadino
Covid-19: non è l’unica pandemia nel mondo di oggi
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