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Baby gang, perchè?

Preoccupa l’aumento della violenza fra i più giovani

Nelle ultime settimane si è verificato a Genova un aumento di casi di rapine ad opera di gang di minorenni, soprattutto nella zona del centro. Diversi episodi anche molto violenti che spesso hanno come autori giovani provenienti da paesi stranieri che agiscono come un branco e che colpiscono coetanei per portargli via abiti griffati, smartphone e soldi.
Si ipotizza che ci possa essere anche una rete organizzata che un po’ come per la tratta delle prostitute faccia arrivare in Italia questi ragazzi, strappandoli alle famiglie con la prospettiva illusoria di un futuro migliore, per poi inserirli in un racket delle baby gang. Questi gravi fatti sono in crescita, ma fortunatamente limitati nel numero e sono l’indice estremo della povertà educativa in cui stanno crescendo i nostri ragazzi: la famiglia e la scuola non sempre riescono a sopperire alle necessità di formare adeguatamente i nuovi adulti che non ricevono, o non recepiscono, gli insegnamenti fondamentali.

La società stessa ha virato ormai da tempo la propria inclinazione verso gli interessi, il possesso, il successo e la comodità a discapito dei valori che sono certamente più connessi alla fatica, al sacrificio più che alla soddisfazione immediata.
E’ caratteristico dell’età giovanile lo stimolo a sentirsi già adulti, capaci di governare da sé la propria vita e quindi, spesso, invadere quella degli altri, dominandola: è l’assunzione della responsabilità che si fa strada e che, se non adeguatamente orientata, assume la forma istintuale, propria degli animali, di ottenere le cose con la forza, sopraffacendo i più deboli.

Non c’è quindi da stupirsi se, organizzati dalla malavita o in modo autonomo, i ragazzi trovino più facile la via dell’estorsione, della rapina e della violenza fisica perché non è solo il desiderio di possedere oggetti costosi o guadagnare soldi, ma è proprio la necessità di sentirsi poderosi, ad avere autorità sugli altri a dominare.

E’ una parabola che in queste settimane è sovrapponibile alle vicende internazionali: ci sono capi di stato, ormai assimilabili a dittatori, che ostentando la loro ricchezza e apparente forza fisica mostrano la loro reale povertà, che sembra avere molto in comune con quella di questi baby rapinatori che ora rapinano la gente per strada, ma da grandi potrebbero continuare a rapinare seduti nelle poltrone dei palazzi governativi, promuovendo azioni violente e crudeli.

E’ chiaro che non è una strada inevitabilmente segnata: la via della redenzione è sempre aperta a tutti e, per i più giovani, risulta chiaramente essere più percorribile, ma occorre rimboccarsi le maniche e riconoscere la necessità di interventi educativi radicali nella fascia di età compresa tra il 12 e i 19 anni.

Come sempre non ci sono ricette facili, preconfezionate, che possano adeguatamente rispondere a queste urgenze: ci sono però parole chiave che vanno riscoperte, come “accoglienza”, “ascolto”, “fatica”, “gratificazione”, “impegno”, “comunione”, “abnegazione”. Sarebbero queste, insieme a molte altre, a costituire la griglia di sostegno, l’ossatura per i giovani adulti della società post-pandemia: abbiamo bisogno di persone con queste caratteristiche, che donano e si dedicano al prossimo più che alla ricerca di dominarlo e rapinarlo.

Abbiamo bisogno di politici e capi di stato che leggano anche queste notizie di cronaca urbana e si domandino che cosa è mancato nella loro infanzia e giovinezza e quindi, allontanando le dita dai pulsanti dei missili, firmino trattati di pace e promuovano azioni che costruiscano e non distruggano la società.

Fonte: Il Cittadino
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