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Al cinema - Rapito

Un film di Marco Bellocchio

Al cinema - Rapito

Regia di Marco Bellocchio. Con Enea Sala, Leonardo Maltese (Edgardo Mortara da bambino e da ragazzo), Paolo Pierobon (Pio IX), Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi.

Bologna 1858. Nel quartiere ebraico della città vive la numerosa famiglia di Momolo Mortara, presso la quale si presentano le guardie per prendere in custodia uno dei bambini, Edgardo, di sei anni. Il bambino ha ricevuto il battesimo, perciò secondo le leggi di allora, sarà allevato in seno alla Chiesa e non in una famiglia ebrea. I genitori di Edgardo non possono rassegnarsi, ma alle richieste disperate, Pio IX risponderà con un “Non possumus”.
Il film di Bellocchio si basa sulla vera storia di Edgardo Mortara e sul caso che fece scalpore in tutta Europa; ispirato al libro di Vittorio Messori “Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX”, il film copre il periodo storico dal 1858 alla breccia di Porta Pia nel 1870. In questo periodo si assiste al terribile braccio di ferro tra il Papa e la famiglia del piccolo Edgardo. Bellocchio, da ottimo regista, sa far bene il suo mestiere e costruisce una narrazione efficace e giocata, se non per pochissime scene, su una luce notturna, appena rischiarata dai lumi di candela e intervallata da momenti onirici.

Ovviamente l’opera suscita sia pena per il bambino, sia indignazione per l’ingiustizia e proprio questo è il suo principale difetto: si gioca tutto sull’impatto emotivo. Invece sono davvero molte le perplessità che suscita il film, esclusivamente basato sull’accusa verso la Chiesa e sulla sua totale rigidità. Infatti, risulta difficile credere alle parole di Bellocchio che sostiene di non aver voluto dare un suo giudizio quando, guardando il film, tutto il male sta da una parte e tutto il bene dall’altro. Così assistiamo ad una visione della Chiesa fatta solo di sontuosità, di forma, teatralità in cui la fede si basa solo su schemi e formule latine (Pio IX poi viene dipinto come un personaggio spregevole); mentre la fede della famiglia Mortara è intima, vissuta, famigliare e confortante.

E se è vero che tra la Chiesa e il mondo ebraico nei secoli le relazioni non sono state sempre delle migliori, lo sa però il regista che la Chiesa cattolica è stata l’unica al mondo a chiedere scusa degli sbagli?
E sa anche che c’è stato un Concilio Vaticano II, con la “Nostra Aetate”, in cui si parla del vincolo tra ebrei e cristiani? O che da molto tempo gli ebrei vengono chiamati “i nostri fratelli maggiori”?
Infine, nella Chiesa ci si è fatti e ci si fa guidare anche dalla Carità e oggi un simile fatto non potrebbe mai accadere.
Se dunque Bellocchio firma un’opera dalla trama coinvolgente, adatta per dibattiti sulla storia e sulla religiosità, in queste riflessioni dovrebbe rientrare anche il fatto che Edgardo Mortara non rinnegò mai la sua appartenenza alla Chiesa, anche quando da adulto ne ebbe la facoltà.

Fonte: Il Cittadino
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