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Bagnasco: "La mia Genova: dalla guerra alla lezione per l'oggi"

Il ricordo della città vissuta da bambino; il ruolo che fu del
Cardinale Siri; la riflessione sul momento difficile che sta
attraversando oggi il mondo a causa della pandemia

Bagnasco: "La mia Genova: dalla guerra alla lezione per l'oggi"

Non ho conosciuto la guerra, ma ne ho sentito parlare dai miei genitori e dai nonni, e ho vissuto la fase della ricostruzione. L'ho vissuta come poteva un bambino, il cui principale pensiero era andare a scuola e giocare.

Tra i vicoli di Genova, attorno alla nostra casa, vi erano pochi caseggiati e molti edifici diroccati. I pomeriggi erano passati tra la chiesa, i vicoli, la piazza e le macerie, dove spesso, con i miei compagni, andavamo a cercare chiodi e pezzi di ferro per tirare su qualche spicciolo. Mio padre, operaio, a volte doveva rimanere in fabbrica anche di notte: non sono mai mancati il pane e la dignità, a cui i miei genitori tenevano moltissimo.

Le macerie, molte, erano luoghi di gioco e di fantasia, senza capire bene cosa succedesse attorno. Così era per noi bambini: il poco che c'era, a casa e fuori, era naturale, senza pretese o esigenze particolari. Il mondo era quello, l'unico. Però, sentivo qualcosa nell'aria che non riuscivo a definire. Crescendo, ho messo a fuoco: dietro alla spensieratezza dell'infanzia, vi era come un rumore di fondo, il brusio di una vita di lavoro, di parsimonia, di sacrificio.

Non prevalevano, però, risentimenti e lamenti: si era contenti per ciò che si aveva e si resisteva giorno per giorno. Ricordo quando entrò in casa, per la prima volta, una ingombrante radio di legno: era un avvenimento. Ma il filo invisibile, che sosteneva quella laboriosità diffusa, era un'ostinata fiducia collettiva.

Le divisioni ideologiche erano marcate, e qualcosa capivamo vagamente anche noi bambini, ma non era un problema nostro, e soprattutto non impediva quella fiducia comune che unificava gli sguardi e i cuori verso il domani, verso un futuro migliore per i figli, verso la ricostruzione del Paese. La gente anche litigava, magari da una finestra all'altra, e noi piccoli ridevamo di nascosto: il clima generale non si rompeva, e gli indumenti dei figli cresciuti continuavano a passare ai figli minori di altre famiglie.

Oggi, il virus misterioso ha messo in ginocchio il mondo, e ha provocato non solo la crisi sanitaria ma anche quella economica e forse sociale. Sarà necessaria la responsabilità di tutti, a cominciare da ogni singolo cittadino: pensare che tocchi esclusivamente ad altri la ricostruzione del Paese sarebbe un errore grave.

Nel dopo guerra, per quello che potevo capire, non ricordo questo atteggiamento di rivendicazione passiva; per lo meno non lo avvertivo in casa. Ognuno si sentiva coinvolto non tanto perché i decisori lo richiedessero, ma perché lo sapeva la coscienza comune. Forse, ognuno si chiedeva per istinto che cosa potesse fare per il Paese, che percepiva suo e che amava, terra dei padri e di tanti che si erano sacrificati per essere liberi. Ricordo che la malavita di quegli anni era quella che noi bambini ci divertivamo a sbirciare: qualche pacchetto di sigarette di contrabbando, ladri di biciclette. Non vedevamo altro. E ciò era confermato dal fatto che le mamme ci lasciavano scorrazzare per i vicoli senza timori.

Anche perché il controllo sociale e il telefono senza fili tra madri erano perfetti, e nessuno si risentiva se qualcuno faceva un richiamo al figlio di un'altra. Non era questione di indifferenza: era un patto non scritto, prevaleva il sentirsi insieme nello stesso cammino. Gli adulti dovevano assicurare il piatto in tavola e, nello stesso tempo, preparare il domani: non c'era spazio per il superfluo né di cose né di illusioni. Di speranze sì. 

L'opera di Giuseppe Siri

La Chiesa, come sempre, era vicina alla gente: a volte si ingegnava per far giungere la corrente elettrica o la strada nei borghi più sperduti, spesso curava la scuola elementare attraverso la prima televisione. I parroci di quegli anni erano per la gente l'unico punto di riferimento, qualche volta perfino per confermare un ricovero ospedaliero. Ricordo qualcuno che parlava di un sacerdote di Genova, Don Giuseppe Siri, che, nel '43, iniziò una organizzazione di assistenza per i bisognosi: l'Auxilium. Con l'aiuto di una rete di sacerdoti, e la collaborazione di alcuni laici, aveva comprato alcuni camion sgangherati, con i quali dei volontari trasportavano dal basso Piemonte derrate alimentari allo scopo.

La notizia si diffuse rapidamente, ma nessuno pose mai ostacoli. Oggi l'Auxilium continua ad esistere e lavora con efficacia, adeguando i campi di intervento e prendendo atto che ritorna l'emergenza viveri. In una recente cerimonia del 25 aprile, l'opera della Chiesa è stata pubblicamente ricordata. Sempre in quegli anni, Genova doveva riconvertire le proprie industrie. Impresa non scontata.

All'opera collaborò anche Mons. Siri, diventato Vescovo Ausiliare: i tedeschi avevano smontato l'importante laminatoio DEMAG, gioiello della Società Italiana delle Acciaierie di Cornigliano, per trasferirlo in Germania. Ma ciò rallentava la ritirata: per questo motivo l'esercito si liberò dei vari pezzi in modo tale da impedirne il ritrovamento e la ricomposizione. I volontari, sostenuti da Mons. Siri, li ritrovarono e li riportarono a Cornigliano.

Fu un decisivo inizio per ricostruire il tessuto industriale genovese. Diventato poi Arcivescovo di Genova nel 1946, con l'aiuto di Mons. Torrazza direttore dei Cappellani del lavoro, riuscì a ottenere importanti commesse dall'estero per assicurare il pane di moltissimi operai e delle loro famiglie. Sono trascorsi molti anni, ma quei tempi sono tramandati nella memoria di aziende e lavoratori. Ricordo che, la prima volta che andai in un cantiere navale, appena arrivato a Genova come Arcivescovo nel 2006, un gruppetto di operai mi fermò davanti al capannone allestito per la celebrazione, e uno mi diede il benvenuto e aggiunse: «Noi non veniamo a Messa, ma l'aspettiamo fuori per il caffè. Sappiamo che cosa fece il Cardinal Siri per i lavoratori: le chiediamo di continuare anche lei!». Non potevo sperare un'accoglienza migliore. 

Le radici da riscoprire e amare

Oggi le circostanze sono diverse, ma mi auguro che quello spirito di ostinata fiducia e quella tensione comune verso un futuro da ricostruire siano gli stessi. La coesione sociale, impasto di fiducia e sacrificio, è la condizione indispensabile per far ripartire il Paese. Credo, però, che oggi sia necessaria anche una capacità di ripensare. Che cosa? La crisi sanitaria ha messo in luce qualcosa che chiede non solo la ripartenza, ma un ripensamento della società nel suo volto e nelle sue strutture.

Come il Continente europeo, anche noi dobbiamo riscoprire e amare le nostre radici. È vero che non tutti siamo cristiani, ma è anche vero che la civiltà generata dal Vangelo è apprezzata da tutti, dovendo onestamente riconoscere che l'alveo cristiano ha maturato l'idea di uguaglianza e di libertà, di comunità e di dignità inerente ad ogni uomo, a prescindere da censo, cultura, status sociale, provenienza. Oggi si è insinuato un laicismo senza laicità, e un uso positivista della ragione, come in tanta parte d'Europa.

L'intelletto è dono del Creatore, e il suo scopo è incontrare la verità: ma c'è la verità scientifica che ci fa scoprire come funziona il mondo, e la verità spirituale e morale che riguarda il senso dell'uomo e delle cose, i valori che devono guidare l'agire personale e sociale. Se la ragione viene usata solo in chiave strumentale, per scoprire ciò che si può misurare a prescindere da valori spirituali e dal giudizio etico, allora la scienza e la tecnologia diventano degli assoluti, e accade quello che Romano Guardini scriveva negli anni cinquanta: la sfida del futuro sarà quella del potere tecnologico ed economico sull'uomo.

La cultura che si respira induce a credere di essere sempre più potenti, di poter manipolare la vita, la natura, gli altri a piacimento, in nome di una libertà che nega se stessa. Il morbo killer, a caro prezzo, sta richiamando la ragione ad essere se stessa, secondo il piano del Creatore: capire come funziona il mondo e capire il perché dell'uomo e delle cose. Senza una riflessione spirituale e morale, quale mondo si potrà costruire? E senza un ancoraggio trascendente, dove potremo fondare i valori che presiedono l'attività umana e la convivenza? Se il criterio è l'efficienza, la società sarà disumana. Si parla molto di una società solidale, ma dove poggia la casa della solidarietà? In questo orizzonte, il Vangelo, che genera bellezza, civiltà e cultura da duemila anni, ha qualcosa da dire non di esortativo, ma di decisivo. Esso non si impone, ma si offre con la forza della verità: e la verità include sempre il buon senso.

Allora sarà possibile ripensare la globalizzazione, che non è una divinità a cui sacrificare. Sarà possibile una filosofia del lavoro e le sue strutture alla luce della centralità della persona. Sarà possibile registrare il rapporto tra pubblico e privato, tra centro e periferia, il ruolo della finanza e delle attività produttive, e altro ancora. Non penso che sia necessariamente un processo lungo e contorto, e non so se usciremo da questa terribile crisi più umili e più saggi negli stili di vita: sono convinto, però, che il ritrovarci per la strada, nei luoghi del lavoro, nelle nostre chiese, avrà un sapore diverso. E saremo sorpresi della gioia di rivederci senza mediazioni. Ci soprenderà perchè la nostra contentezza non sarà solo un sentimento bello e piacevole, ma più profondo e motivato: scopriremo che affonda le radici non tanto nel substrato emotivo, ma nel nostro essere. Ci accorgeremo, forse con nuovo stupore, che ognuno è se stesso ma anche appartiene agli altri; che io sono io, ma anche sono gli altri; che non esistono solo le mie decisioni, ma anche le relazioni in cui vivo e di cui sono protagonista.

Ci guarderemo l'un l'altro con occhi nuovi, avendo toccato con mano che senza gli altri siamo più poveri e senza Dio siamo poverissimi. Sarà un ritrovarsi non scontato, come qualcosa di nuovo: spero di duraturo.

Farà bene a noi e all'Italia, che ha bisogno di nọi per rinascere.

Fonte: Il Cittadino
Bagnasco: "La mia Genova: dalla guerra alla lezione per l'oggi"
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