La parola

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Il commento alla seconda lettura della Liturgia della Parola

Lo sguardo di Gesù, nel passo proposto al nostro ascolto, si posa sulle folle che lo seguono, ed è uno sguardo che legge una condizione di fatica e di smarrimento, 'stanche e sfinite, come pecore che non hanno pastore': un popolo disperso, quasi schiacciato dalla fatica, un'immagine efficace di tante folle anche del nostro tempo, di tanta umanità dispersa, che sembra inseguire, invano, una pienezza, un riposo vero, che sperimenta la vita come peso, che non ha più maestri ai quali poter guardare.

Ascoltando il passo evangelico proposto alla nostra attenzione, la chiamata di Gesù rivolta a Matteo, viene alla mente la stupenda rappresentazione pittorica dell'evento, realizzata da Caravaggio e custodita nella chiesa di S. Luigi dei Francesi in Roma: nella stanza buia, entra la luce dalla parte in cui appare Gesù che rivolge il suo sguardo a Matteo, seduto al banco delle imposte, chino a contare i denari.

Riprendiamo, con questa domenica, la lettura continua del vangelo di Matteo, che ci accompagna in quest'anno liturgico, e ascoltiamo la parte conclusiva del primo grande discorso di Gesù, il discorso del monte, dove è proclamata la novità del Regno, ormai presente nella persona e nell'opera di Cristo.

Ogni anno, la ripresa del tempo ordinario, dopo i cinquanta giorni della Pasqua, è segnato dalla celebrazione di due grandi realtà della nostra fede: il mistero della Santissima Trinità, che ci fa entrare nel cuore della vita intima di Dio, e il mistero dell'Eucaristia, dono fedele e inesauribile della carità di Cristo.

Il mistero dell'effusione dello Spirito promesso, sulla Chiesa nascente, è il cuore della solennità di Pentecoste, che chiude il grande tempo pasquale: nella originale prospettiva del vangelo di Giovanni, questo evento, collocato nel racconto degli Atti cinquanta giorni dopo la Pasqua, è anticipato nel primo incontro del Risorto con i suoi discepoli.

Il mistero dell'effusione dello Spirito promesso, sulla Chiesa nascente, è il cuore della solennità di Pentecoste, che chiude il grande tempo pasquale: nella originale prospettiva del vangelo di Giovanni, questo evento, collocato nel racconto degli Atti cinquanta giorni dopo la Pasqua, è anticipato nel primo incontro del Risorto con i suoi discepoli.

Con il mistero dell'Ascensione, entriamo nel paradosso di una condizione nuova del Signore glorificato nella Pasqua, paradosso perché contemporaneamente i discepoli vivono l'evento di un'assenza e di una presenza originale e fedele del Risorto.

Il tempo pasquale, segnato dalla memoria gioiosa della risurrezione del Signore, è caratterizzato, nelle ultime settimane, dall'annuncio del grande dono dello Spirito, che nella solennità di Pentecoste sarà celebrato come origine e anima della Chiesa nascente. In quest'orizzonte, ascoltiamo dal vangelo di Giovanni un passo tratto dal lungo discorso d'addio di Gesù, nel contesto dell'ultima cena: si tratta della prima promessa dello Spirito, legata al mistero della Pasqua imminente.

Nel tempo pasquale ascoltiamo alcuni passaggi dei grandi 'discorsi d'addio' che l'evangelista Giovanni ha raccolto e redatto nella cornice della cena testamentaria di Gesù con i suoi discepoli (Gv 13-17): sono capitoli d'inesauribile ricchezza, nei quali si avverte la forza di una parola, meditata, riletta, quasi ruminata per lungo tempo, nella memoria dell'evangelista e della sua comunità.

Al centro della liturgia di questa domenica, sta la figura di Cristo, pastore buono e fedele, che apre ai suoi discepoli il cammino alla vera vita: nel vangelo ascoltiamo la prima parte di quella composita allegoria/similitudine, svolta da Giovanni su Gesù pastore e porta delle pecore (10,1-10), che trova il suo culmine nell'auto-presentazione di Cristo quale 'pastore buono (in greco kalòs 'bello') che offre la sua vita per le pecore' (cfr. 10,11-18).