La parola

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Il commento alla seconda lettura della Liturgia della Parola

Il passo di S. Marco, offerto al nostro ascolto, ha a tema la missione dei Dodici, coinvolti da subito nell'opera di Gesù, profeta itinerante nei villaggi della Galilea. Il primo tratto che l'evangelista mette in rilievo è l'assoluta e libera iniziativa di Cristo, perché è lui che chiama a sé i Dodici, è lui che li invia a due a due, è lui che comunica loro il potere di compiere esorcismi contro gli spiriti impuri, ed è lui a dare indicazioni essenziali su come svolgere il loro compito.

Il breve passo rappresenta, nel racconto di S. Marco, un momento drammatico dell'iniziale attività di Gesù nella sua terra di Galilea: dopo aver destato differenti reazioni, di stupore e d'opposizione, nei villaggi che percorre, Gesù vive ora il ritorno nella sua patria, nella cittadina di Nazaret dove è cresciuto, e nel percorso dei suoi uditori, possiamo leggere le linee di un'esperienza che, in varie forme, si rinnova nel tempo.

I l passo evangelico di questa domenica racchiude la vivace narrazione, da parte di Marco, di due miracoli che si intrecciano: la risurrezione della figlia di Giàiro e la guarigione di un'anonima donna, affetta da emorragia.

'Passiamo all'altra riva': l'invito con cui si apre il passo evangelico acquista il suo pieno significato nel racconto che segue della tempesta sedata sul lago e può essere assunto come una sfida permanente che Cristo rivolge ai suoi discepoli fino a noi.

Nella festa del Corpo e Sangue del Signore, ci viene proposto il racconto dell'istituzione dell'Eucaristia, secondo Marco, che unisce due caratteristiche proprie della tradizione evangelica: da una parte c'è l'intento della memoria, del richiamo all'evento che fonda il gesto eucaristico nell'esistenza dei discepoli, contemporaneamente c'è un chiaro sfondo liturgico, a dimostrazione che i nostri vangeli sono nati dalla vita reale delle prime comunità.

C'è un mistero che avvolge la vita della Chiesa e di ogni singolo credente, un mistero in cui siamo stati immersi nel gesto del Battesimo, un mistero che, ogni giorno, rievochiamo e confessiamo, accompagnando il segno di croce con le parole, familiari e immense: 'Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo'.

All'interno dei discorsi d'addio, che l'evangelista Giovanni raccoglie e redige nella cornice dell'ultima cena, sono collocate cinque promesse dello Spirito, che ci permettono di disegnare il volto e l'azione di questo dono, di cui vive la Chiesa: in questa solennità di Pentecoste, pienezza della Pasqua del Signore, ascoltiamo due testi di Giovanni (la terza e la quinta promessa), nei quali Cristo annuncia lo Spirito e rivela un rapporto profondo che intercorre tra lo Spirito e il Figlio, come tra il Figlio e il Padre.

Il tempo pasquale che è segnato dalla celebrazione del Risorto e che raggiunge il suo culmine nella memoria del dono dello Spirito, ci conduce a rivivere, nella liturgia, il mistero dell'Ascensione del Signore: secondo il racconto di Luca all'inizio del suo secondo libro (Atti 1,1-11), quaranta giorni dopo la Pasqua, Gesù ascende al cielo, sotto lo sguardo stupito dei suoi discepoli.

L e parole di Gesù, che giungono a noi attraverso la testimonianza del quarto vangelo, sono parole custodite e trasmesse nella piena intelligenza che lo Spirito realizza, permettendoci di entrare nella verità di Cristo, e sono tratte dei discorsi d'addio, redatti da Giovanni nella cornice dell'ultima cena.

Nel passaggio dei discorsi d'addio di Gesù, raccolti e composti da Giovanni, proposto alla nostra riflessione, ascoltiamo una parola d'auto-rivelazione da parte di Cristo: 'Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. Io sono la vite, voi i tralci'.