La parola
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27a domenica del Tempo Ordinario - anno C, Luca 17, 5-10

Se aveste fede!

Nel capitolo 17 del suo vangelo, Luca raccoglie materiale abbastanza disomogeneo, iniziando con una serie di detti su temi differenti: nel breve passo offerto alla nostra meditazione, abbiamo due passaggi chiaramente distinti. Nel primo, il tema di fondo è la fede, espresso in una forma paradossale; la domanda d'avvio degli apostoli è rivolta al Signore, titolo che Luca ama utilizzare con riferimento a Gesù, già nel tempo del suo ministero terreno, e riguarda la crescita della fede: 'Aumenta la nostra fede!'.

Se aveste fede!

Nel capitolo 17 del suo vangelo, Luca raccoglie materiale abbastanza disomogeneo, iniziando con una serie di detti su temi differenti: nel breve passo offerto alla nostra meditazione, abbiamo due passaggi chiaramente distinti. Nel primo, il tema di fondo è la fede, espresso in una forma paradossale; la domanda d'avvio degli apostoli è rivolta al Signore, titolo che Luca ama utilizzare con riferimento a Gesù, già nel tempo del suo ministero terreno, e riguarda la crescita della fede: 'Aumenta la nostra fede!'. Con un po' d'ironia Gesù risponde con un contrasto: 'Se aveste fede quanto un granellino de senapa, potreste dire a questo gelso: 'Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe'. C'è un'evidente sproporzione tra la piccolezza estrema di un granellino di senapa, e la forza imponente del gelso, un albero saldamente radicato nella terra, capace anche di resistere alle tempeste: nel linguaggio iperbolico dell'immagine, nell'efficacia straordinaria di una parola che trova obbedienza da parte di un elemento della natura, Gesù vuole far comprendere ai suoi che il problema, nella fede, non è di quantità, ma di qualità, d'intensità. Basta quasi un niente, un granellino di vera fede perché accada anche l'impossibile, e come traspare da tanti passi evangelici, in particolare in alcuni incontri e miracoli narrati da Luca (7,50: la peccatrice; 8,48: la donna guarita da emorragie; 17,19 il lebbroso samaritano che torna a ringraziare il Signore; 18,42: il cieco di Gerico che ritrova la vista), è la fede che salva, che permette alla potenza di Dio d'operare, attraverso la persona di Cristo: in tutti questi casi, la fede non è qualcosa di complicato o di puramente intellettuale, è movimento di fiducia, è riconoscimento della povertà e dell'impotenza profonda dell'uomo a salvarsi con le proprie mani, e, insieme, affidamento e credito totale a ciò che può compiere il Signore. Quando domandiamo, nella preghiera: 'Aumenta la nostra fede!', domandiamo che cresca in noi questa disponibilità semplice e profonda, a fidarci di Cristo, a fidarci della sua parola e della sua promessa, come hanno fatto i santi di ogni tempo, capaci di realizzare l'impossibile, non per doti eccezionali, ma per essere diventati strumenti docili della grazia e della benevolenza di Dio. Il secondo passaggio del vangelo di questa domenica è ancora in forma di una breve parabola, e mette a tema il giusto atteggiamento che dovrebbe animare i discepoli nel loro servizio al Regno; chiaramente, il centro di questa breve parabola non il padrone, rappresentato in termini molto realistici, come uno dei tanti padroni esigenti e ben poco attenti alle condizioni dei loro servi: la parabola non è un'allegoria, nella quale ogni elemento deve essere decodificato e applicato a distinti soggetti, dunque sbaglieremmo a vedere in questo padrone esoso e severo l'immagine di di Dio. Anzi, il volto autentico di Dio, come traspare da tutta la testimonianza di Gesù, nel vangelo di Luca è ben diverso, e Gesù, la sera dell'ultima cena, descriverà se stesso come colui che serve i suoi discepoli (Lc 22,27). Il cuore di questo passaggio sono, invece, i servi e il loro atteggiamento d'immediata disponibilità agli ordini del loro signore, ciò che viene messo in evidenza è come l'uomo deve porsi di fronte a Dio, di fronte alla novità del Vangelo: senza nessuna pretesa, senza nessun calcolo, in una resa e disponibilità totale. Perché la vera gioia sta nel servire, nello spendersi, senza riserve, per Dio e per i fratelli, e il servizio al Vangelo non è un lavoro a cui corrisponde un compenso, qui non vale la logica di un contratto o di una prestazione gravosa, da sopportare a fatica: quando si compie ciò che Dio chiede, non c'è d'avanzare nulla di fronte a Lui, solo la bellezza di riconoscere che, nel nostro niente, siamo associati alla sua opera, come servi non strettamente necessari, in questo senso 'inutili'. Così, da parte del discepolo, vivere con autenticità il suo essere servo è un altro modo per esprimere un atteggiamento di fede, di radicale consegna della propria vita e della propria operosità alle mani forti di Dio; così, si percorre lo stesso cammino di Gesù.

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