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32° domenicadel TempoOrdinario, Mc 12, 38-44

Questa vedova, nella sua povertà, ha dato tutto quello che aveva

Gesù ha terminato le discussioni pubbliche con coloro che detengono il potere a Gerusalemme, la capitale, in modo particolare nel cuore della città santa, il recinto sacro del Tempio. Vi era entrato all'inizio del capitolo undicesimo, e con il brano di oggi vi uscirà definitivamente. Segue infatti nel Vangelo di Marco solo più il discorso privato per i suoi, sul monte degli Ulivi, che leggeremo la settimana prossima (cap. 13), e poi Gesù si consegnerà al silenzio per l'estrema testimonianza di amore e dono di sé, con la passione, morte e risurrezione (dal capitolo 14).

Questa vedova, nella sua povertà, ha dato tutto quello che aveva

Gesù ha terminato le discussioni pubbliche con coloro che detengono il potere a Gerusalemme, la capitale, in modo particolare nel cuore della città santa, il recinto sacro del Tempio. Vi era entrato all'inizio del capitolo undicesimo, e con il brano di oggi vi uscirà definitivamente. Segue infatti nel Vangelo di Marco solo più il discorso privato per i suoi, sul monte degli Ulivi, che leggeremo la settimana prossima (cap. 13), e poi Gesù si consegnerà al silenzio per l'estrema testimonianza di amore e dono di sé, con la passione, morte e risurrezione (dal capitolo 14). Nessuno osa più interrogarlo. Le sue risposte hanno convinto i più a non azzardare qualche altra brutta figura pubblica di fronte al popolo. Ma ora è Gesù che invita gli uditori (e noi lettori) a riflettere su una certa categoria di persone, su di un certo modo di intendere e di vivere la fede. Egli prende l'iniziativa, inizia ad insegnare (Mc 12,35) nel luogo riservato all'insegnamento ufficiale degli Scribi, chiamandoli in causa con le sue parole. Prima interpretando il salmo in cui il re Davide chiama il Messia 'suo Signore', giocando sul fatto di essere conosciuto anche come 'figlio di Davide', e mostrando che non c'è contraddizione tra le due cose. Poi - nel brano che leggiamo oggi - mettendo in guardia dall'atteggiamento della maggior parte di questi maestri del popolo. Tre atteggiamenti pericolosi sottolinea particolarmente Gesù: la ricerca di sé, l'avidità, l'uso della preghiera. Gli Scribi erano normalmente persone esperte delle Scritture Sacre, la Torah, che in Israele era anche la Legge dello Stato, tale e quale. Questo li metteva in condizione di essere interpellati come 'esperti', consulenti, giudici, periti, in quasi tutti i campi della vita umana e sociale. La ricerca di sé Gesù la vede nella tendenza di queste persone ad ottenere privilegi, omaggi, onorificenze. Essere riconosciuti in pubblico e salutati con deferenza, essere invitati a mangiare in luoghi lussuosi, avere un posto d'onore, ben in vista, nelle celebrazioni liturgiche con grande affluenza di popolo. E' la tentazione della ricerca di ciò che è vano, la vanità, il vuoto di un'esistenza che, proprio perché non ha una sua consistenza propria, deve riempirsi di ciò che può 'gonfiare' questo vuoto: adulazioni, senso di potere, tutto ciò che può far sentire superiori agli altri. Le lunghe vesti, poi, sono segno di gente benestante. Se il fatto essere abbienti fosse il risultato di un onesto guadagno, peraltro difficilmente immaginabile a dei meri esegeti delle Scritture, non ci sarebbe niente di male. Il problema è evidenziato da Gesù con il secondo avvertimento: l'avidità. Sfruttando la loro conoscenza della legge, riescono ad appropriarsi dei beni immobili delle categorie più deboli. Le vedove normalmente non avevano diritto all'eredità del marito (Numeri 27,9s), e sono quindi esposte alla cupidigia dei violenti e dei furbi. Anche qui niente di nuovo: le cose di cui ci avverte Gesù sono terribilmente attuali e capillarmente diffuse, e anche la nostra società non ne è immune. Ma la peggior accusa è quella di sfruttare quel momento particolare che dovrebbe mettere in comunicazione con Dio stesso, la preghiera, non come luogo di relazione con il divino bensì come strumento di potere, ostentazione, messa in mostra di sé. Poco prima Gesù aveva parlato di un fico con tante foglie, ma sterile, senza alcun frutto. Ecco come siamo quando la nostra vita corrisponde, anche solo un po', a queste situazioni descritte da Gesù. Il tarlo della vanità e del narcisismo, il mostro dell'avidità che porta alla sopraffazione dei più deboli e ad arraffare ciò che non ci spetta, il serpente velenoso dell'uso distorto delle cose sacre, tipico di tanti capi mafiosi, ad esempio, che la domenica vanno regolarmente a messa a fianco della moglie, o di quelle persone pie che credono di conquistare la qualifica di brave e sante persone solo per la durata delle loro preghiere pubbliche, in cui ostentano più pietà e devozione di tutti gli altri solo come forma di egocentrismo e voglia di primeggiare. Ecco gli Scribi: diventano per Gesù l'immagine di una vita da non imitare, vuota, vana, sterile, che rincorre assurdamente falsi valori, onorificenze che al momento della verità si tramuteranno in condanna. A tutti questi benestanti, persone che si credono importanti e potenti, Gesù contrappone, nel suo insegnamento, una povera vedova. E' l'ultima immagine dell'insegnamento di Gesù nel tempio prima della Passione. Gesù osserva i fedeli che gettano le loro offerte per il culto in una delle tredici cassette disposte nel recinto sacro allo scopo. Lodevolmente danno il loro 'otto per mille' alla chiesa del loro tempo (un decimo dello stipendio, a quei tempi!). Ma la generosità non dipende dall'ammontare della somma. Gesù, stesso non ha mai passeggiato in lunghe vesti, non si è mai arrogato il diritto di un posto d'onore in qualche summit coi potenti, non ha mai taciuto le verità che potevano essere scomode per la leadership del suo tempo. Egli, che si è spogliato della ricchezza della sua divinità, per diventare in tutto simile a noi, si è schierato dalla parte di coloro che non sfruttano la loro posizione carismatica o istituzionale per opprimere gli altri ma sanno donare se stessi con generosità. Si è presentato sempre alla pari, semplice fra i semplici, ed è guardando Lui e nessun altro che noi cristiani dobbiamo assumere il nostro originale stile di vita nel mondo. Gesù, che ha vissuto donando tutto ciò che possedeva, ossia tutto se stesso, mostra ai suoi l'immagine vivente di ciò che Egli ha fatto e noi dobbiamo imitare: una vedova che dona tutto quanto ha per vivere. E' l'icona della Chiesa, vedova perché non ha marito (in ebraico anche 'signore', padrone) in questo mondo, ma liberamente si affida con coraggio all'unico sposo, il nostro Dio e Creatore, abbandonandosi con il medesimo gesto alla carità dei fratelli. Del Tempio di Israele non è rimasta 'pietra su pietra' (Mc 13,2), ma Dio ricostruisce giorno per giorno il nuovo edificio spirituale nel cuore dei suoi credenti che, come questa vedova, sanno fidarsi completamente di Lui.

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