La parola
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Il Figlio dell’uomo radunerà i suoi eletti dai quattro venti

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (18 novembre 2018)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.

Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo.

Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.

In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.

Quanto però a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre». 

La creatura umana, la cui esistenza è immancabilmente intrisa di tribolazione, torna alla polvere da cui è stata plasmata. Non è però la fine: dalla tomba c'è risurrezione e con essa il giudizio, il quale fissa la condizione eterna. Una moltitudine avrà la “vita” eterna. E’ grazie al sacrificio di Cristo-sacerdote che tale moltitudine, purificata dai peccati, santificata, ha accesso alla vita eterna.  Cristo-sacerdote è anche il giudice che congiungerà a sé per l'eternità i santificati. Non è concesso all’uomo sapere quando ciò avverrà: egli non ha che da essere preparato, ogni giorno più preparato, perché ogni giorno è più vicino al giudizio. 

Gesù, di fronte alla magnificenza del tempio di Gerusalemme, rimarcata con entusiasmo dai discepoli, ne ha predetto la distruzione ed insieme gli avvenimenti penosi ad essa concomitanti. Ciò che si verificherà effettivamente nel 70 d.C. ad opera della armate romane di Tito.

La catastrofe, che segna la fine della nazione giudaica, gli richiama un altro evento drammatico: la fine del mondo. Esordisce precisando che la fine del mondo, non sarà coinciderà con quelli avvenimenti, come molti “falsi profeti” potrebbero far credere, ma avverrà “dopo quella tribolazione”.

Gesù descrive, la fine del mondo con tratti assai succinti, di tipo apocalittico, simbolico, citando espressioni del libro di Isaia (13,10; 34,4), in cui si parla del giudizio di Dio sui popoli, allorché “il sole si oscurerà e la luna non darà più il suo splendore e gli astri si metteranno a cadere dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte”. Di più non vogliono dire. Esse non indicano una catastrofe cosmica, né come segni premonitori, né come fenomeni concomitanti della fine e nemmeno come distruzioni parziale o totale dei cosmo” (R. Pesch). Protagonista del giudizio sarà il “Figlio dell’uomo”, la cui figura è descritta come in Dn 7,13. “Il Figlio dell'uomo” è, notoriamente, denominazione de Messia, il quale agisce da Dio, giacché verrà “sulle nubi”, segno ricorrente nella Bibbia della presenza e della potenza divina. A conferma di ciò l’evangelista aggiunge che il Figlio dell’uomo apparirà “con grande potenza e gloria”.

Il giudizio avrà dimensioni universali: gli “eletti” saranno riuniti dai “quattro venti, dall’estremità della terra sino all’estremità del cielo”: nessuno di loro verrà dimenticato e di essi si occuperanno gli angeli, che stanno a servizio del Figlio dell’uomo. È sottinteso che i dannati non verranno riuniti al Figlio dell’uomo, ma ne resteranno separati. I discepoli, all’inizio del colloquio, gli avevano chiesto, in riferimento all’annunciata distruzione del tempio: “quando avverrà questo e quale sarà il segno che tutte queste cose stanno per accadere?” (13,4).  Gesù risponde adesso, ma riferendosi alla fine del mondo, oggetto di molta curiosità. Prima si serve della parabola del fico, ricordando che dallo spuntare del suo fogliame gli israeliti sanno che “l’estate è vicina”. Parallelamente i momenti della “tribolazione” annunceranno che la fine certamente verrà e che è avvenimento “vicino”, tuttavia non imminente e neppure iniziato. La dichiarazione solenne che Gesù aggiunge – “in verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute” – sembra doversi intendere in duplice senso, data la duplice prospettiva del discorso di Gesù: per quanto attiene alla distruzione del tempio, la generazione è quella degli interlocutori presenti, per quanto attiene alla fine del mondo “questa generazione” è quella attuale del mondo. La generazione ora vivente non è un concetto cronologicamente definibile con precisione. Anzi è così impreciso – qualunque lettore si sente membro di questa generazione vivente – che da questa parola non è possibile dedurre alcuna precisazione cronologica” (E. Haenchen). A conferma rassicurante, Gesù sentenzia: “il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. Duplice certezza: la fine del mondo e la perennità della parola divina.

Infine a scoraggiare ogni tentativo di indagine o di pronostico sul “giorno e l’ora” della fine del mondo e del giudizio divino, Gesù dichiara che “nessuno li conosce” all’infuori di Dio, “neppure il Figlio”, considerato, ovviamente, soltanto nella sua umanità: cioè Gesù, come uomo, non conosce il momento della fine del mondo; la conosce come Dio, ma la lascia nel mistero, affinché – tale è lo scopo di tutto il discorso – gli uomini vivano una attesa di preparazione, la quale mai può essere adeguata, ma sempre deve tendere al perfezionamento.

Fonte: Il Cittadino
Il Figlio dell’uomo radunerà i suoi eletti dai quattro venti
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