La parola
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II lettura di domenica 8 maggio - IV di Pasqua

Anno C - L'universalità

II lettura di domenica 8 maggio - IV di Pasqua

Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo
Ap 7,9.14b-17

Io, Giovanni, vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani.
E uno degli anziani disse: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo tempio; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro.
Non avranno più fame né avranno più sete,
non li colpirà il sole né arsura alcuna,
perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono,
sarà il loro pastore
e li guiderà alle fonti delle acque della vita.
E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi».

Dopo aver contemplato una prima parte di coloro che, credenti in Cristo, costituiscono la Chiesa celeste –“i centoquarantaquattromila” delle tribù israelitiche, simbolo della globalità del nuovo Israele – Giovanni ha la visione di tutta la folla oceanica, assolutamente innumerevole, dei redenti. L'universalità è fortemente marcata dalla mancanza di distinzione (“una moltitudine immensa”), dalla impossibilità di accennare un computo, (“che nessuno poteva contare”), dalla provenienza geografica e temporale espressa con più sinonimi, nella preoccupazione di non trascurare alcun aspetto che possa dar adito a particolarismi o a esclusioni: “di ogni nazione, razza, popolo e lingua”.
La “moltitudine” sta celebrando l'eterna liturgia, in onore a Dio e all'Agnello (Cristo), nell'antico atteggiamento di preghiera: “in piedi”.
L'atmosfera è di gioia e di vittoria: si indossano, infatti, “vesti candide” – simbolo della purezza di chi vive alla presenza di Dio e quindi simbolo di gioia – e si recano “palme” – simbolo di vittoria e di gloria – come nelle celebrazioni solenni della festa dei Tabernacoli, come nei cortei trionfali dell’epoca dei Maccabei o, più propriamente ancora, come in occasione dell'ingresso esaltante di Cristo in Gerusalemme, la domenica precedente la morte e la risurrezione. Soltanto più tardi le palme diverranno simbolo anche del martirio, il quale peraltro è affermazione vittoriosa.
Gioia è vittoria, perché la“moltitudine” è composta da tutti coloro che, redenti dal “sangue dell'Agnello” e partecipanti alle sue sofferenze, hanno superato la “grande tribolazione”: la persecuzione di Domiziano, la quale tuttavia è emblematica di ogni prova terrena.
Ritorna quindi il motivo consolatorio dell'Apocalisse: la perseveranza, attraverso le tribolazioni, è titolo di partecipazione alla celeste liturgia di adorazione gioiosa e gloriosa.
La condizione della“moltitudine immensa” è di assoluta beati-tudine, di incontrastata ed intangibile felicità, per l'azione di Dio – il quale “terge ogni lacrima” – e dell'Agnello che, quale Pastore, conduce alla vita soprannaturale: la realizzazione delle profezie citate (Ez 34,23; Sal 23,2; Is 25,8) acquista perfezione.

Fonte: Il Cittadino
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