La parola
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II lettura di domenica 20 giugno - Ecco, sono nate cose nuove

XII  Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

Fratelli, l’amore del Cristo ci possiede; e noi sappiamo bene che uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro.
Cosicché non guardiamo più nessuno alla maniera umana; se anche abbiamo conosciuto Cristo alla maniera umana, ora non lo conosciamo più così. Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove.

Paolo si vede costretto a difendere il suo lavoro apostolico da accuse ed insinuazioni di avversari, i quali sono riusciti ad alienargli parte della comunità di Corinto.
Ma più che preoccuparsi di sé, egli preferisce giustificare la legittimità del ministro apostolico.
Giunge pertanto ad esporre i principi, i motivi del ministero. Innanzi tutto sta l’amore di Cristo: “l’amore di Cristo ci spinge” (letteralmente “ci tiene in potere” o “ci possiede”).
Si tratta dell’amore divino di Cristo, che irrora il cuore dell’Apostolo. Conseguentemente lo stesso amore “spinge” a dedicarsi ai fratelli, come Cristo ha devoluto la sua vita agli uomini. Cioè “l’amore di Cristo per noi induce in noi l’amore verso di lui; l’amore di Cristo per gli uomini genera nel fedele l’amore per gli uomini” (P. Rossano). L’Apostolo, conquistato dall’amore di Cristo in tutta la sua latitudine, è “spinto” alla dedizione verso gli altri. Inarrestabilmente.
Verso tutti,poiché Cristo “è morto per tutti”, e “quindi tutti” coloro che sono incorporati a lui (mediante il Battesimo) partecipano della efficacia redentiva della sua morte; in tal senso “quindi tutti sono morti”.
Infatti, Paolo spiega, lo scopo della morte di Cristo è che “tutti quelli che vivono non vivano più per se stessi”, cioè attenti uni-camente a se stessi, interessati soltanto di se stessi, egoisticamente, ma dedichino la loro vita a “colui che è morto e risuscitato per loro”, facendo dell’amore verso di lui lo scopo e la dimensione dominante della loro esistenza.
La vita del battezzato è autentica solo se cristocentrica, modellata sulla morte e risurrezione di Cristo.
Così dimensionata, la vita è guidata non da criteri terreni – “carnali” – ma soprannaturali; talché i rapporti con il prossimo non sono regolati da criteri terreni, egoistici, ma dal criterio dell’amore di Cristo che “spinge”. Se ciò è vero per ogni credente, tanto più lo è per l’apostolo, il quale, per specifica vocazione si dedica al prossimo, considerato “non secondo la carne”, ma come appartenente a Cristo.
Cristo stesso è conosciuto dall’apostolo “non secondo la carne”, ossia per ciò che di beneficio, di favori personali può trarre da Lui, ma per ciò che l’essere incorporato a Lui porta a fare a favore degli altri, disinteressatamente.
L’espressione dell’Apostolo – “anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così” – potrebbe pure riferirsi all’appunto dei suoi denigratori, i quali forse gli rimproverano di non aver conosciuto Cristo durante la sua vita terrena. In tale ipotesi San Paolo asserirebbe che una conoscenza personale c’è stata, seppure in maniera straordinaria (sulla strada di Damasco), oppure che la conoscenza indiretta che egli ha avuto del Cristo attraverso il farisaismo di cui era se-guace, fu “secondo la carne”, guidato da criteri di opportunismo terreno.
Comunque sia, nell’una o nell’altra eventualità, ciò che conta è che Paolo ormai non conosce più così Gesù, ma in maniera ben più profonda e più ricca. La “conoscenza” biblica è appartenenza.
La spiegazione: “se uno è in Cristo, è una creatura nuova: le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove”. Cristo è il nuovo Adamo, capostipite e compendio dell’umanità redenta. Essere “in Cristo” è vivere in modo nuovo, rispetto al modo vecchio, segnato dal male senza remissione e quindi soltanto da criteri carnali, terreni, egoistici. Chi vive “in Cristo” non condivide secolarizzazione di sorta.

Fonte: Il Cittadino
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