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I lettura di domenica 23 aprile - III di Pasqua

Anno A - Non era possibile che la morte lo tenesse in suo potere

I lettura di domenica 23 aprile - III di Pasqua

[Nel giorno di Pentecoste,] Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò così:
«Uomini d'Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret - uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete bene -, consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l'avete crocifisso e l'avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere. (...)
Fratelli, mi sia lecito dirvi francamente, riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto e il suo sepolcro è ancora oggi fra noi. Ma poiché era profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un suo discendente, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: "questi non fu abbandonato negli inferi, né la sua carne subì la corruzione".
Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire».

Sono le nove di mattina del giorno di Pentecoste. Gli Apostoli usciti dal luogo in cui hanno ricevuto lo Spirito Santo, si rivolgono agli astanti, giunti a Gerusalemme da varie nazioni, i quali rimangono esterrefatti perché ciascuno ode i Dodici parlare la sua lingua. Allo stupore generale Pietro intende dare spiegazione: essi sono testimoni del compiersi delle profezie dell’Antico Testamento concernenti il tempo messianico. Il tempo attuale. È il primo discorso missionario di Pietro. E’ il suo primo kerygma, ossia il fondamentale annuncio cristiano sull’opera, la morte e la risurrezione di Cristo.
Una catechesi sintetica sull’identità di “Gesù di Nazareth”.
Coloro che ne sono stati testimoni tuttavia lo hanno avversato, fino a farlo crocifiggere a morte “per mano di empi”, cioè i Romani, così denominati perché invasori della nazione ebraica.
E Pietro, a conferma del suo asserto, cita il Salmo 16, attribuito a Davide. Il salmista che si considera giusto, cioè osservante la legge divina, quindi convinto della costante vicinanza e del forte sostegno di Dio, “esulta” nella speranza della risurrezione e della eterna e gioiosa familiarità con Lui.
Pietro interpreta messianicamente il salmo, identifica in Gesù Cristo il giusto per eccellenza, glorificato da Dio.

Fonte: Il Cittadino
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