La parola
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Il Vangelo della Domenica, Gv 15,1-18

Chi rimane in me ed io in lui fa molto frutto

Nel passaggio dei discorsi d'addio di Gesù, raccolti e composti da Giovanni, proposto alla nostra riflessione, ascoltiamo una parola d'auto-rivelazione da parte di Cristo: 'Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. Io sono la vite, voi i tralci'.

Chi rimane in me ed io in lui fa molto frutto

Nel passaggio dei discorsi d'addio di Gesù, raccolti e composti da Giovanni, proposto alla nostra riflessione, ascoltiamo una parola d'auto-rivelazione da parte di Cristo: 'Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. Io sono la vite, voi i tralci'. L'immagine ha una ricca memoria biblica, perché nell'A.T. Israele è paragonato ad una vigna, eletta e curata, da Dio, una vigna che, purtroppo, ha dato frutti acerbi; ora c'è una novità profonda, perché Gesù si presenta come la vite, a cui appartengono i tralci, che chiaramente simboleggiano i suoi discepoli, una vite, oggetto dell'opera attenta del Padre stesso. Un primo tratto che colpisce è proprio il legame costitutivo ed organico, che intercorre tra la vite e i tralci, nel senso che non esiste una vite senza tralci, e d'altra parte per i tralci essere inseriti nella vite non è un fatto accessorio, ma essenziale, perché, reciso dalla vite, ogni tralcio secca, privo della linfa vitale. Con quest'allegoria suggestiva, Gesù mostra ai suoi che il rapporto con Lui, il rimanere in Lui, comunicando alla sua vita, è decisivo per essere vivi e per portare frutto: 'Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me'. Questa è la grande illusione, che inganna il cuore dell'uomo, pensare di portare frutto da se stesso, con le proprie energie e forze, concepire la libertà come assenza di legami, come piena autonomia, dove ognuno risponde solo a se stesso. L'esito di una tale scelta di vita è l'aridità, l'infecondità, un'esistenza che passa, senza lasciare traccia, che si consuma senza costruire qualcosa di stabile e di consistente. Al contrario, nel testo di Giovanni, si annuncia una promessa, affascinante e affidabile: 'Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla'. Queste parole di Cristo, che impressionano per la loro nettezza, si realizzano nel cuore e nell'esistenza dei santi, di tutti coloro che sono rimasti legati a Gesù, come i tralci alla vite, e hanno attinto da Lui l'inesauribile linfa della grazia. Nasce allora la domanda: come rimanere in Lui? Come dimorare nel Signore Gesù? L'immagine della vite racchiude un secondo tratto importante, cioè suggerisce un'appartenenza reciproca e totale tra Cristo e i suoi discepoli, un'appartenenza che diviene addirittura dimora interiore, inabitazione: l'adesione a Gesù non avviene nella solitudine del singolo, ma è gesto della persona che, immediatamente, inserisce in un corpo, in una pluralità di tralci vivi, perché evidentemente non esiste una vite fatta di un solo tralcio, ma nella vite sono innestati più tralci, che hanno in comune la stessa linfa, che scorre, e appartengono tutti alla stessa vite. È un'immagine bellissima della Chiesa, come comunità di coloro che sono in Cristo, sono di Cristo, condividono la stessa vita; ma l'espressione giovannea del 'rimanere/dimorare' allude ad una realtà ancora più profonda: i credenti non aderiscono al Signore come presenza puramente esterna, esteriore, ma nella fede giungono ad una comunione radicale, totale, per cui si realizza una misteriosa immanenza tra Cristo e i suoi, Cristo abita e dimora nei discepoli ed essi vivono e dimorano in Lui, così come il Figlio vive nel Padre e il Padre vive nel Figlio. L'esistenza cristiana chiede tempo, spazio, chiede la fedeltà di rimanere legati a Cristo e di dimorare in Lui, proprio come hanno fatto i primi discepoli di Gesù, che dopo averlo incontrato sono rimasti con Lui tutto un pomeriggio (cfr. Gv 1,35-39). Questa permanenza in Cristo avviene inserendosi sempre di più nella comunione con altri credenti, tralci della stessa vite, e maturando, nel tempo, un'affezione personale al Signore, una reale intimità con Lui. Giovanni ci ricorda infine un modo tipico, perché cresca la reciproca appartenenza tra noi discepoli e Gesù, ed è il custodire in noi la sua parola, la parola del Vangelo: 'Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi …'. Non è l'unica strada per la quale cresce il legame tra noi tralci e Cristo vite, ma certamente è una forma semplice, che nell'orizzonte di una vita ecclesiale, matura una reale familiarità con il Signore.Corrado Sanguineti

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