La parola
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30a Domenica Tempo Ordinario (anno A), Matteo 22 , 34-40

Amerai il Signore tuo Dio, e il tuo prossimo come te stesso

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Per due volte, nel passo evangelico offerto al nostro ascolto, ritorna il verbo “Amerai”, al futuro, con un chiaro valore imperativo: alla domanda del dottore della Legge, circa “il grande comandamento”, Gesù risponde con due passaggi delle Scritture (Dt 6,5 in Mt 22,37-38 e Lv 19,18 in Mt 22,39) e la sua originalità sta proprio nell’unire questi due testi, legando “il grande e primo comandamento” al secondo, simile per lo stesso dinamismo d’amore che mette in gioco. Non solo, ma agli occhi di Gesù “da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i profeti”, perché il cuore della rivelazione, consegnata ad Israele, è proprio il volto di un Dio che ama, in modo appassionato e attende una corrispondenza nell’amore. Il Dio vivente che ora si fa prossimo a noi in Cristo, è totalmente amore, e tende a suscitare un movimento d’amore in chi accoglie la sua parola ed è attento ai segni della sua presenza e della sua storia di grazia. Allora il comandamento “amerai” non è un’imposizione esterna, non è una legge impersonale, ma è il movimento che Dio stesso immette nella nostra esistenza, nella misura in cui ci lasciamo sorprendere dalla sua iniziativa, che sempre ci precede, e che nel suo Figlio fatto uomo tra noi, assume una concretezza inaudita nel volto, nei gesti e nelle parole di Gesù. Dunque, in primo piano, c’è questo legame amoroso con Dio, un rapporto che ha caratteri d’assolutezza e di totalità, perché solo Dio è Dio, solo Lui può riempire pienamente il cuore dell’uomo, solo Lui può meritare una dedizione sconfinata, da figli e non da schiavi. Ecco da dove nasce l’insistenza sull’amare Dio “con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente” del testo del Deuteronomio, che Gesù riprende in parte, e che diventerà il contenuto della preghiera dello “Schemà Israel” (“Ascolta Israele”), ancora oggi recitato ogni giorno dall’ebreo credente: di fronte a un Dio che si è coinvolto totalmente con il suo popolo, con i suoi profeti, e che ora vive una condivisione ancora più radicale con la nostra vita in Cristo, è tutta la nostra persona che è chiamata, nella libertà, a corrispondere con tutta se stessa. È interpellato il cuore, che biblicamente è la sede delle decisioni e dei pensieri, l’intimo del nostro “io”: dal cuore fluisce la vita, ed uno agisce, sceglie, decide, secondo ciò che gli sta a cuore, secondo ciò che è stimato e apprezzato dal cuore. “Tutto il tuo cuore” significa un cuore unito, indiviso, che si lascia afferrare e muovere da Colui che ci anticipa con il suo amore e desta un’attrattiva profonda. Ma è chiamata in causa anche l’anima, intesa secondo la mentalità semitica come la vita, nella sua concretezza: amare Dio “con tutta la tua anima” è amare Dio con tutta la vita, investendo ogni energia vitale in questo amore, fino a mettere in campo i nostri beni, le nostre risorse, le qualità della nostra persona. Infine, nella ripresa evangelica si evoca la mente, come capacità di giudizio, di valutazione, di conoscenza: una mente non fredda o arida, ma che conduce a conoscere e ad amare, nell’intreccio così vero tra conoscenza ed amore, per cui si ama solo ciò che si conosce e si conosce solo ciò che si ama, in un circolo virtuoso dove ragione e affezione, mente e cuore camminano insieme, non solo nelle relazioni con gli altri, ma innanzitutto nella relazione fondamentale con Dio, con l’Altro per eccellenza. A questo “primo e grande comandamento”, è subito accostato il secondo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. In realtà sono come due facce della stessa medaglia, perché siamo chiamati ad essere figli nel Figlio e solo amando Dio, il Padre, ed insieme i fratelli, i più vicini, coloro che riconosciamo prossimi, noi diventiamo figli, noi viviamo una familiarità nuova con il Padre: “L’amore infatti è uno, come Dio stesso è uno. Amo il fratello e il Padre con lo stesso amore con cui il Padre ama me come suo figlio. Questo amore, e non altro, è principio di tutto” (S. Fausti). Ma mentre Dio, bene totale e sommo, chiede e suscita un amore totale e assoluto, il prossimo si ama come se stessi, senza nessuna mitizzazione schiavizzante: proprio amando Dio “in tutte le cose e sopra tutte le cose”, diventiamo capaci di amare gli altri per ciò che essi sono, segno e dono che rimandano al Padre.

Amerai il Signore tuo Dio, e il tuo prossimo come te stesso
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