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Politica: non è l’ora delle lotte fra i partiti!

La crisi di governo per l’uso del Recovery Plan aggraverebbe una situazione già difficile

Il premier Giuseppe Conte in occasione dell'ultimo vertice, convocato per trovare una mediazione sul Recovery Plan, ha dovuto constatare che nonostante i suoi tentativi di far crescere le risorse di 14 miliardi di euro utilizzando un vecchio fondo per lo sviluppo le posizioni dei partiti che lo sostengono sono ancora molto distanti ed in particolare Italia Viva spinge per andare a verificare in aula con un voto parlamentare se l'esecutivo è ancora in grado di andare avanti. Le accuse lanciate dal leader di IV al governo sono molto forti ed in particolare quella di non voler essere complici del "più grande spreco di denaro pubblico", unitamente a quella di continuare a portare avanti una modalità di lavoro che impedisce di fatto ai parlamentari di prendere visione in modo accettabile delle leggi che sono chiamati ad approvare in aula.
Come sempre accade nel nostro paese, ancora una volta, il premier Conte è alla ricerca dei "responsabili" per trovare i pochi voti che gli servirebbero per restare in carica; si tratta di una prassi che in passato ha prodotto gravi danni all'Italia e che, in un contesto molto difficile a causa della pandemia da Covid19, potrebbe ora causarne di irreparabili. Anche il Quirinale manda segnali di forte scetticismo su questa ipotesi ricordando che in ogni caso Conte dovrebbe comunque dimettersi prima di poter dar vita ad un Conte ter e che in ogni caso una nuova maggioranza dovrebbe rispondere ai requisiti di omogeneità e coesione sul programma che il Capo dello Stato ha posto come condizione per la formazione di una nuova compagine.
Confindustria ha lanciato un grave allarme sulla situazione delle imprese italiane che per sopravvivere alla pandemia sono state costrette ad indebitarsi in modo non fisiologico anche grazie al sostegno della garanzia pubblica e che ora si trovano nell'impossibilità di programmare i loro investimenti, con un peso di 146 miliardi di euro di prestiti bancari.

Dall'inizio della crisi causata dal Covid 19 il cash-flow delle imprese italiane, e cioè la liquidità in cassa data dalla differenza secca tra le entrate e le uscite, è diventato in moltissimi casi negativo. Il settore manifatturiero nel 2020 da 81 miliardi è passato a meno di 4, il comparto delle costruzioni è passato da 24 a 12 miliardi ed il settore dei servizi, che ha maggiormente risentito della crisi, è sceso da 162 a 33 miliardi di euro.
Gli ultimi dati pubblicati dalla società Ihs Markit, che calcola l'indice Pmi servizi nell'area Euro, mette in risalto come l'economia possa ripartire solo con il consolidamento delle imprese che fabbricano e producono cose, come confermato dal dato di dicembre relativo al comparto manifatturiero che registra una crescita per il sesto mese consecutivo. Il terziario accusa una nuova contrazione per il quarto mese consecutivo dall'inizio dell'indagine. L'indice composito Pmi in dicembre conferma per il nostro paese una situazione molto peggiore del resto dell'Europa con un 39,7 rispetto al 49,1 dell'area Euro, a causa della zavorra rappresentata dal terziario che frena significativamente la ripresa dell'Italia (come sottolineato da Lewis Cooper analista di Ihs Markit).
Il settore terziario, come ben chiarito anche dal nome, diventa strumento di sviluppo solo se destinato a supportare i settori primario e secondario con le industrie che fabbricano prodotti destinati al mercato domestico e internazionale. La crisi causata dalla pandemia ha confermato come l'idea che un paese grande come il nostro potesse vivere offrendo solo servizi, cancellando l'industria produttiva, fosse solo una fugace illusione che da molto tempo dava segnali di difficoltà, ora esplosi mettendo a nudo le conseguenze degli errori commessi negli ultimi decenni da una politica industriale e sociale nazionale sbagliata, che ha causato la chiusura della maggior parte degli stabilimenti industriali del nostro paese.
Il debito pubblico sta crescendo di 22 milioni di euro all'ora e anche se adesso fa meno paura, grazie alle nuove politiche di stimolo economico e protezione sociale legate alla pandemia che hanno fatto cambiare la percezione del rischio dei deficit, non dobbiamo perdere di vista l'esigenza della sua sostenibilità e cioè della capacità dell'Italia di pagare gli interessi sui titoli di Stato come ci viene sempre ricordato dalla Bce, dalla Commissione europea e dallo stesso fondo salva-Stati.

Il governo, nella Nota di aggiornamento dei conti pubblici del 5 ottobre scorso, la Nadef, stima per il 2021 una discesa del debito pubblico di 2,4 punti. La Commissione europea ritiene però questo dato inaffidabile e considera che nella migliore delle ipotesi la discesa potrà essere di un modesto 0,1 per cento con un valore che passerebbe dal 159,6 al 159,5 per cento.
In questa gravissima situazione è inaccettabile che le forze politiche che sostengono l'esecutivo anzichè lavorare solo ed esclusivamente per elaborare il Recovery Plan in modo da riuscire ad utilizzare in pieno questa opportunità che ci viene offerta per la ripresa del nostro paese perdano tempo e disperdano energie in una assurda lotta di potere che sta bloccando la prosecuzione del cammino del Piano.
Se il premier Conte ed il suo governo non sono più in grado di andare avanti devono dimettersi; se hanno ancora i numeri in aula devono pensare solo a lavorare per il bene del paese partendo dal punto fermo della mancanza di tempo.
Le scadenze sono vicine, le moratorie stanno per finire ed il virus è ancora in circolazione: non è più accettabile dover assistere ogni giorno ad un fiume di dichiarazioni e controdichiarazioni dei più importanti leader politici che rappresentano i partiti di maggioranza impegnati in discussioni che di propositivo sembrano avere davvero poco o nulla.

Fonte: Il Cittadino
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