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Pil a crescita zero?

Recovery Fund solo dalla prossima estate

Le notizie in arrivo da Bruxelles confermano che, a causa delle difficoltà nei negoziati tra governi e Parlamento Ue per il varo dei 750 miliardi di euro del Recovery Fund decisi a luglio, il fondo non potrà entrare in funzione prima della prossima estate con un sensibile ritardo rispetto alla previsione del mese di gennaio 2021; sarà inevitabilmente ritardata anche l'approvazione del Bilancio Ue 2021-2027 con gravi ripercussioni sugli esborsi.

Il ritardo di uno o due mesi creerebbe un grave danno d'immagine all'Europa che, ancora una volta, dimostrerebbe la sua disunione e fragilità con i governi che, pur avendo già inserito i soldi del piano di rilancio nei bilanci del 2021, non potrebbero disporre delle risorse fino all'estate. Il rallentamento delle trattative sullo sblocco dei 750 miliardi è principalmente dovuto alle norme collegate sul rispetto dello stato di diritto ed alle richieste dell'Eurocamera di aumentare i fondi del budget Ue in favore di programmi storici dell'unione come la Ricerca e il progetto Erasmus sui quali i negoziatori sembrano intenzionati ad insistere con richieste molto pressanti.

Il processo per l'approvazione definitiva del Recovery Fund è molto lento e complicato dato che, dopo l'intesa a livello europeo, è necessaria la ratifica dei parlamenti nazionali dell'accordo finale che, anche nella migliore delle ipotesi, finirà per scontentare qualcuno. E' molto alto il rischio di una bocciatura in fase di ratifica che comporterebbe un disastroso rinvio al 2022 con il congelamento anche del nuovo Bilancio Ue da oltre 1000 miliardi di euro ed il conseguente blocco ai finanziamenti delle politiche dell'Unione. Purtroppo, con la seconda ondata della pandemia da Covid 19 che incalza e l'economia dell'Eurozona destinata a tornare in profondo rosso nel quarto trimestre del 2020, le forze politiche a Bruxelles sembrano più impegnate in uno scandaloso scaricabile delle colpe del ritardo che in un'azione volta a trovare una soluzione ed allo sblocco della situazione di stallo.

La Commissione Ue tiene sotto stretto controllo i dati dell'economia in attesa di pubblicare il prossimo 5 novembre le sue previsioni economiche d'autunno ma è ormai certo che la zona euro registrerà un ultimo trimestre dell'anno con un tasso negativo accompagnato da ulteriori forti rischi al ribasso dettati dall'andamento incerto della pandemia. I governi della zona euro hanno inserito nelle loro leggi di bilancio interventi per oltre 1.000 miliardi di euro, un disavanzo aggregato pari all'8,9 % del Pil, ma si teme che anche questa cifra possa non bastare.

Il presidente dell'Europarlamento ha assicurato: "Siamo consapevoli dell'urgenza di un rapido intervento" che mal si coniuga con la richiesta dei paesi del Sud di eliminare ogni forma di condizionalità in caso di richiesta di salvataggi sovrani e di riformare il Patto di Stabilità che, tra l'altro, potrebbe rendere permanente il Recovery Fund e i suoi eurobond. Se da una parte può essere giusto rimettere in discussione la firma di trattati che potrebbero essere troppo penalizzanti per il nostro paese, dall'altro è necessario stare molto attenti a non offrire una valida motivazione per rallentare l'approvazione di strumenti indispensabili per permetterci di accedere a quelle risorse che, di fronte alla seconda ondata della pandemia, sono indispensabili per garantire la tenuta dell'Italia.

Il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco in occasione della conferenza su "Stabilità finanziaria e regolamentazione", organizzata dall'Università Bocconi, ha ribadito: "Questo shock senza precedenti potrebbe causare qualche vittima tra le banche" di fronte alle "ulteriori perdite su crediti che si concretizzeranno nei prossimi mesi" che renderanno necessari ulteriori accantonamenti, e messo in evidenzia la gravissima situazione economica italiana con oltre 300 miliardi di euro di prestiti in moratoria cha da fine gennaio dovranno essere onorati da debitori che, a causa della pandemia, non saranno in grado di farlo e con gli istituti bancari che, perso l'ombrello fornito loro dalla possibilità di congelare esposizioni e potenziali perdite, saranno costretti a chiudere bilanci di esercizio con fortissime perdite che potrebbero rivelarsi insostenibili per le realtà più fragili come Carige, Mps, Bcc ed altre popolari del Sud.

L'intervento sul Mes del premier Giuseppe Conte in occasione della conferenza stampa di presentazione del nuovo DPCM ha messo in risalto come sia stato sbagliato rifiutarsi di accedere a queste risorse per un preconcetto politico dato che i fondi, subito disponibili, sarebbero serviti a rafforzare la sanità ed offrire un sostegno importante alla ripresa economica e dichiarando che si tratterebbe di nuovo debito che renderebbe necessarie nuove tasse il premier ha implicitamente confermato che il nostro paese non sta chiedendo risorse all'Ue in prestito ma a fondo perduto e su questo punto i paesi del Nord sono stati chiarissimi ribadendo che non concederanno ulteriori risorse se non con l'impegno della loro puntuale restituzione anche se senza interessi passivi.

Il governo si trova a occhi chiusi sul ciglio del burrone ed è necessario un impegno forte per rendere più dinamica l'economia italiana altrimenti il contenuto della Nota al documento di economia e finanza si rivelerà ancora una volta solo un libro dei sogni senza nessuna seria previsione per il futuro. Questo rischio è molto alto considerando che la Nota prevede che nel 2023 l'economia italiana non avrà bisogno di ulteriori stimoli ma anzi sarà opportuno da allora rallentare le inizioni fiscali e che il governo, nello stesso anno, farà a meno dei prestiti europei del Recovery Plan per finanziare in deficit spese aggiuntive ma non indica da nessuna parte quali strumenti l'esecutivo intende offrire alle famiglie ed alle imprese per rimettere in modo l'economia in soli 24 mesi. Con un debito così alto che potrebbe ridurre i margini di sostegno dell'economia è necessario che l'esecutivo abbandoni ogni faziosità di parte e porti avanti un grande progetto di unità nazionale dove tutti i partiti insieme lavorino per mettere le basi per una società nuova che possa rinascere più equa e solidale dalla più grave crisi vissuta dal mondo dalla fine della seconda guerra mondiale.

Fonte: Il Cittadino
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