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L’accoglienza e integrazione dei giovani sono un dovere

Associazionismo femminile genovese e immigrazione: audizione in Consiglio Comunale

Il nostro tempo è stato definito da Papa Francesco “un cambiamento d'epoca” un cambiamento così profondo e così rapido da modificare tutti i parametri culturali, sociali, valoriali, delle relazioni tra persone e tra paesi, tanto da sconvolgere la geopolitica e da diffondere quella tragica cultura della guerra come unico metodo di risoluzione dei problemi tra stati.

Che cosa resta? A quali ancoraggi certi possiamo legare la barca? Come ricostruire un villaggio dove vivere insieme? Come confrontarsi e dialogare con le molteplici differenze?
La nostra Costituzione, elaborata con il forte contributo dei cattolici e in particolare di quel gruppo di intellettuali e di politici che scrissero il Codice di Camaldoli (di cui si sono celebrati gli 80 anni) è ancora una buona maestra, capace di parlare alle nuove generazioni. Le radici della nostra democrazia sono fondate su principi fondamentali immodificabili: la dignità della persona umana, l'uguaglianza, la libertà, la partecipazione. Un articolo, in particolare, interroga più direttamente noi cattolici: l'art 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà”.

E’ difficile oggi parlare di solidarietà, è un termine che ha perso il suo contenuto di solidità. In una società liquida, di rivendicazione di diritti per la maggior parte individuali, come possiamo costruire fondamenta solide che resistano ai venti della paura delle differenze, del timore di dividere un po’ la torta del nostro benessere, del sospetto di perdere qualcosa che ci appartiene? Per questo la Costituzione parla, oltre che di diritti, anche di doveri e di doveri “inderogabili”, che è obbligatorio adempiere, che non si possono trascurare se vogliamo vivere in un contesto umano. Perché la solidarietà che va incontro ad ogni fragilità, che soccorre chi è ferito, che difende chi è debole, che accoglie lo straniero, che salva il naufrago, è quel DNA inscritto nel nostro essere umani, fa parte di quella cultura civica tramandata da generazioni, l'humanitas, e che trova compimento nel Vangelo: ogni uomo è mio fratello.

Un frutto del Sinodo è stato quello di averci fatto incontrare. Donne di diversa provenienza hanno percorso per due anni la stessa strada interrogandosi, confrontandosi, ascoltando altre realtà, nella convinzione che essere cittadine significhi soprattutto sentirsi partecipi dei problemi della città. Lungo la strada abbiamo incontrato il mondo dei migranti, delle prostitute, della violenza di genere, della povertà, e ci stiamo interrogando sul problema complesso dei minori non accompagnati.

Siamo consapevoli della portata e delle difficoltà di gestire un fenomeno migratorio quanto mai complesso e ormai strutturale, convinte che siano necessarie politiche che regolarizzino i flussi migratori e che siano indispensabili processi di integrazione a partire dalla conoscenza della lingua italiana, dalla consapevolezza dei diritti e dei doveri e dall'inserimento nel mondo del lavoro. Sappiamo quanto sia importante nell'età giovanile il processo di integrazione culturale e sociale. Il rischio di emarginazione è una delle cause principali dell'aumento del disagio giovanile e dei fenomeni di devianza. I giovani hanno estremo bisogno di cure, di attenzione e di ascolto: il futuro della nostra città sarà segnato anche dalla nostra capacità di una accoglienza umana che dia opportunità alle grandi risorse dei giovani, che tenga conto delle differenze culturali e sappia valorizzarle.

Come costruire percorsi di reale integrazione, che cosa possiamo fare noi, come associazioni di donne? Un detto africano dice: “Se vuoi crescere un uomo costruisci il villaggio”. Perché nel villaggio incontri chi si prende cura di te, chi ti accompagna, ti dà fiducia, ti aiuta ad orientarti nella giungla più buia. Gli adolescenti sono piante fragili, hanno bisogno di sostegni e di cure, di essere inseriti nel cuore della città, perché la solitudine è una cattiva compagna.
I giovani, da qualunque paese provengano, sono il nostro futuro, il futuro della nostra città, sono le nuove risorse di un paese invecchiato e stanco, sono la nostra responsabilità. Per costruire un villaggio è necessario progettare e lavorare insieme, mettere insieme le conoscenze e le esperienze, tutte le nostre risorse e le nostre idee ma soprattutto è urgente avere fiducia nel futuro, in un mondo che verrà, e di cui ci sentiamo e siamo responsabili.

Con questo intento, come donne e cittadine, abbiamo chiesto una audizione in Consiglio Comunale nella certezza che le soluzioni concrete e percorribili si possono trovare con uno spirito di collaborazione tra istituzioni, associazioni, imprese, sindacati. Ci è stata concessa l'audizione in Consiglio comunale giovedì 19 ottobre alle ore 9.30.
Genova è una grande città, ha tutte le risorse umane e storiche per riattivare quell'etica della cura che nasce dalla consapevolezza della comune vulnerabilità e che ci spinge a farci carico non solo di ciò che si fa ma anche delle conseguenze.

*Consiglio Nazionale Cif

Fonte: Il Cittadino
L’accoglienza e integrazione dei giovani sono un dovere
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