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Inverno demografico a Genova, questo è il problema!

Quali politiche potrebbero invertire questa rotta?

Mancano ormai pochi mesi alle elezioni comunali genovesi; un appuntamento con le urne che non riguarderà solo il Comune di Genova ma, per effetto della riforma Delrio (riordinamento degli enti locali approvato dal governo Monti nel 2012), tutta l’ex provincia, oggi Città Metropolitana. Il sindaco della città capoluogo, infatti, assume contestualmente le funzioni di sindaco metropolitano, cioè di presidente della provincia. Insomma, l’eventuale rielezione di Marco Bucci o l’elezione di uno dei suoi competitori non rimane circoscritta (se non in relazione al puro processo elettorale) alla striscia di terra che parte da Nervi e arriva a Voltri, ma tocca pure le due riviere e il variegato entroterra del genovesato. Ci sarebbe da discutere a lungo se tale disciplina soddisfi criteri elementari di democraticità e rappresentanza, ma al momento bisogna prendere atto che così è.

Tra i tanti temi oggetto di confronto, ve n’è uno che merita sicuramente un’attenzione particolare: quello della crisi demografica e del conseguente invecchiamento della popolazione residente.

A forza di parlare, in un passato non ancora consegnato agli annali, di decrescita (in)felice, l’obiettivo parrebbe esser stato raggiunto e superato, dal momento che per molti, colpiti dalla crisi economica del 2008 (mai lasciata alle spalle, almeno in Italia), in seguito travolti dalla pandemia di coronavirus, infine stesi al tappeto dalle ripercussioni della crisi russo-ucraina, l’ultimo quindicennio si è rivelato un periodo buio come una notte senza stelle.

La “città dei camerieri” di cui si parlava negli anni ’80, favoleggiando di una Genova alleggerita dell’industria pesante e trasformata in una metropoli da terziario avanzato, era un’utopia tanto ardita quanto confusa; un sogno. Al risveglio, poco dopo l’inizio del nuovo millennio, anziché sulle magnifiche sorti e progressive decantate un paio di decenni prima, i genovesi hanno riaperto gli occhi su una comunità impoverita, con un mondo imprenditoriale per buona parte arroccato o in ritirata, forse incantato dai colori del tramonto, una classe politica abile a parole, autoreferenziale e nei fatti sempre meno incisiva, migliaia di giovani senza vere opportunità, senza punti di riferimento e – avendone la possibilità – in fuga da una realtà chiusa e ostile, quella che ha dato loro i natali e poco altro. Non c’è da stupirsi se ogni anno il saldo demografico è costantemente accompagnato dal segno meno. Lo diremo in modo brutale: in questa città si nasce poco e si muore molto.

Genova deve rassegnarsi a essere una città di anziani, la cui unica (giusta) ambizione è quella di godersi la sospirata pensione il più a lungo possibile? Lo spopolamento e l’invecchiamento della città portano con sé effetti nefasti non solo sul piano economico, ma anche su quello sociale e culturale. Che vita dello spirito può pensare di darsi un centro urbano di media grandezza evirato della presenza stimolante e animatrice delle giovani generazioni?

Questa è senza dubbio la magna quæstio che nessun candidato al governo della civitas può permettersi di eludere e circa la quale occorre, da subito, offrire risposte convincenti e gravide di futuro, spiegando per filo e per segno, durante la campagna elettorale, attraverso quali provvedimenti e quali progetti ci si intenda cimentare, una volta al potere, nell’impresa di invertire quella tendenza purtroppo consolidata che sta consegnando alla morte civile il vertice marittimo dell’ex triangolo industriale.

*ACLI Genova

Fonte: Il Cittadino
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