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Indifferenza, la deriva della modernità

La solitudine e la logica dello scontro sono le cause 

Avremmo piacere se un collega, magari sapendo di qualche nostro cruccio o preoccupazione, si affacciasse alla porta del nostro ufficio chiedendoci “Come va? Posso esserti utile?”.

Ci consolerebbe se, rientrando a casa la sera, trovassimo qualcuno che, prendendoci la mano tra le sue o abbracciandoci, ci restituisse improvvisamente quel calore umano che non abbiamo avvertito nella giungla metropolitana o nelle alterne vicende della giornata?

Ci sarebbe di aiuto se ogni tanto ricevessimo una parola di incoraggiamento, di conforto, di sostegno, specie nei momenti bui nei quali l’anima è più incline alla tristezza e alla depressione?

La solitudine a volte è una situazione cercata, più spesso è una condizione subita.

Nasce dai pensieri, dalle ansie, dai sensi di colpa e si realizza in condizioni esistenziali marginalizzanti ma si rafforza spesso anche per le frequenti e reciproche incomprensioni.

Siamo potenzialmente ricchi di umanità e potremmo avvalercene con straordinaria disponibilità di mezzi e modi di espressione se solo fossimo più accorti nel far buon uso dei nostri sentimenti.

Appartiene alla nostra modernità la tendenza ai solenni proclami: una ormai datata proliferazione di leggi, trattati, declaratorie, impegni, affermazioni di principio che tacita le nostre coscienze, ma poi ci accorgiamo che sovente siamo più vittime che fruitori di tanta ostentazione.

Vogliamo regolamentare la nostra vita attraverso il riconoscimento dei diritti: non c’è mai stato un periodo di così lunga e sostenuta rivendicazione di universalità, tolleranza, intercultura, accoglienza.

Ma proprio in nome di tanta opulenza di principi generali difettiamo di senso pratico, non sappiamo partire dalla nostra quotidianità.

Eppure la lunga deriva di questa modernità origina da due guerre che hanno lasciato orrori e nefandezze nella memoria di chi ha visto e nei ricordi che ci sono stati consegnati dalla tradizione.

E’ come se allontanandoci a poco a poco da quegli eventi avessimo perduto di vista gli insegnamenti di quelle lezioni esistenziali: si riaccendono infatti, se mai sono stati sopiti, i focolai dell’odio e della violenza, le logiche dello scontro e della sopraffazione. Ed ecco che quella realtà si materializza ancora, sembra proprio che non ci si possa affrancare dalle guerre.

Ma non dobbiamo scavare trincee per ritrovarci combattenti nel sacrosanto nome dei nostri diritti, basta aprire o chiudere la porta di casa.

Oltre le congetture e i puntigli sui massimi principi sappiamo realizzare che le spiegazioni più efficaci sono quelle più semplici, le più convincenti sono quelle che originano dall’esempio?

La lettura delle evidenze della vita è sempre condizionata dalla ricerca di motivazioni oggettive: non è necessario rivivere due volte la propria esistenza per accorgersi invece che l’ordine delle cose non sempre riflette gli stati d’animo, i modi e le forme del pensiero.

Riscontriamo ogni giorno contesti e situazioni dove le difficoltà non risiedono nella realtà quanto invece abitano nella mente e nel cuore delle persone.

Se viviamo in una condizione di sofferenza e di inganni perché non tendiamo la mano, per primi, per incontrare la mano altrui?

L’umana comprensione ci nobiliterebbe più della solennità dei principi, infatti è anche più difficile essere coerenti con le idee che si propugnano piuttosto che recitarle enfaticamente.

Mi pare anche che molte criticità discendano direttamente dai toni esasperati con cui viviamo le situazioni.

L’educazione al dialogo, al confronto pacato, ai toni miti, alla compostezza dovrebbe essere una costante nei comportamenti individuali e sociali.

Fonte: Il Cittadino
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