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In Italia è allarme licenziamenti per le delocalizzazioni delle aziende

Altri Paesi dell’Unione Europea risultano più appetibili a motivo di politiche fiscali più favorevoli per le imprese

L'Ecofin, il consiglio dei ministri economici europei, ha dato il via libera definitivo al Pnrr italiano, insieme a quelli degli altri Paesi che avevano già ricevuto il benestare della Commissione.
L'Italia riceverà alla fine del mese di luglio i primi 25 miliardi di euro per realizzare i progetti presentati dal nostro esecutivo che dovranno essere portati a termine entro il 2026, con periodiche verifiche da parte della Commissione europea sul rispetto del cronoprogramma nell'esecuzione delle opere infrastrutturali e sullo stato di avanzamento delle riforme promesse (in particolare quelle della giustizia e del fisco). L'unico stato membro a cui è stato momentaneamente negato l'accesso alla prima tranche dei fondi del Next Generation Eu è l'Ungheria di Orban, che continua a rifiutarsi di fornire adeguate garanzie su come verranno spesi i 7 miliardi di euro messi a disposizione da Bruxelles.

In occasione della riunione dell'Eurogruppo, la segretaria americana al Tesoro Janet Yellen, alla presenza della presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen e della presidente della Bce Christine Lagarde, ha riconfermato con forza: "Siamo tutti d'accordo che l'incertezza rimane alta. In questo contesto è importante che l'orientamento di bilancio rimanga di sostegno fino al 2022", mettendo fine alle voci che si stavano riconcorrendo su un'eventuale possibilità di un rialzo dei tassi di interesse da parte della Bce alla luce dei dati in crescita dell'inflazione. Il presidente della Fed Jerome Powell continua a sostenere la teoria di una crescita dell'inflazione "transitoria", che potrebbe svanire con la progressiva riapertura dopo il lungo lockdown e quindi, pur in presenza negli Stati Uniti di aumento nel mese di giugno dei prezzi di oltre il 4,5 % al netto di energia e alimentari, suggerisce una grande prudenza sul tema dell'abbandono delle politiche di sostegno alle famiglie ed alle imprese decise per fronteggiare gli effetti della pandemia da Covid-19.

La riforma fiscale, che insieme a quella della giustizia rappresenta uno dei pilastri su cui si basa il Pnrr italiano, parte in salita con gravi difficoltà a causa del costo molto elevato per le casse dell'erario a seguito della riduzione dell'Irpef, dell'aliquota Iva e della cancellazione dell'Irap come ipotizzato nel testo licenziato dalla Bicamerale dopo oltre quattro mesi di lavoro con 60 audizioni presso le Commissioni Finanze della Camera e del Senato.

Il Costo della riforma è di oltre 40 miliardi di euro e nel documento, secondo un antico italico vizio, manca l'indicazione sulle coperture finanziarie delle riforme che vanno tutte nella direzione di una riduzione del carico fiscale a vantaggio della crescita economica come ben spiegato da tre professori di materie fiscali come Massimo Baldini, Silvia Giannini e Simone Pellegrino in un articolo apparso su "Voce.info". Il documento nelle sue 18 pagine non parla di tagli di spesa o di altre forme di recupero delle risorse necessarie per portare avanti il progetto dando l'impressione che per non voler scontentare nessuna forza politica si sia preferito ancora una volta rinviare nel tempo il problema.
Il contesto generale però impone invece di affrontare subito e con determinazione tutti i problemi collegati all'ottenimento delle risorse destinate all'Italia dal Next Generation Eu anche per fronteggiare la drammatica crisi dei licenziamenti scoppiata appena terminata l'impossibilità di farlo per l'imposizione di una legge.
I casi sono tantissimi in tutto il paese con quelli più significativi di Abb, Gnk, Giorgetti e Whirlpool in cui le aziende rifiutano persino gli ammortizzatori sociali straordinari offerti dall'esecutivo pur di poter procedere con i licenziamenti e con la chiusura dei siti produttivi e devono spingere le forze politiche a ragionare su quali interventi debbano essere messi in campo per superare le motivazioni che possono convincere un imprenditore a preferire un gravissimo danno d'immagine alla scelta di continuare a produrre nel nostro paese.
Lo sdegno delle istituzioni e delle forze sindacali per il comportamento di multinazionali che hanno deciso di lasciare senza lavoro migliaia di persone abbandonandole al loro destino purtroppo non è servito a far cambiare loro idea ma anzi in alcuni casi gli imprenditori si sono rifiutati di trattare al Mise sostenendo che la sede delegata era quella sindacale senza l'intervento di rappresentanti del governo.
Palazzo Chigi conferma che l'esecutivo è impegnato per "costruire alternative" ma la tragica realtà è che le multinazionali interessate sembra che abbiamo il solo scopo di abbandonare il nostro paese e chiudere più stabilimenti possibile senza alcun negoziato con i sindacati, ignorando completamente la "moral suasion" contenuta nell'avviso comune firmato dal governo e dalle parti sociali per ricorrere agli ammortizzatori sociali prima di avviare le procedure di licenziamento.
Il premier Draghi ed i suoi ministri devono trovare gli strumenti adeguati per fronteggiare la concorrenza dei paesi dell'Europa dell'Est (dall'Ungheria alla Polonia) che applicano politiche fiscali molto favorevoli alle imprese che decidono di delocalizzare nei loro territori con un costo finito della manodopera inferiore di oltre il 60% a quello del nostro paese.
E' necessario che il governo e tutte le forze politiche unite comprendano che dopo le belle parole si devono mettere in campo gli strumenti per garantire un futuro dignitoso alle persone che perderanno il lavoro a seguito delle crisi aziendali congelate durante la pandemia da Covid-19, partendo dall'assunto che non esiste nessuna norma che possa obbligare un'azienda a lavorare nel nostro paese se lo ritiene antieconomico e che è quindi necessario capire come creare condizioni competitive affinché le aziende presenti restino e si inneschi un meccanismo virtuoso che possa spingere ad aprire nuove attività in Italia. Solo in questo modo potremo creare i posti di lavoro necessari per garantire a tante famiglie una vita dignitosa e laboriosa e non una sopravvivenza garantita da aiuti pubblici e sussidi.

Fonte: Il Cittadino
In Italia è allarme licenziamenti per le delocalizzazioni delle aziende
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