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Adolescenti, famiglia e accompagnamento psicologico: quali soluzioni?

Alessandro Poirè, psicologo, affronta questi argomenti in un'intervista

Adolescenti e giovani sembrano avere sempre più bisogno di un supporto psicologico per affrontare piccoli e grandi problemi, andare da uno specialista è ormai molto diffuso e per le famiglie rappresenta una strada per comunicare con i propri figli quando il loro aiuto viene ignorato o negato.
Un supporto di cui non si può fare a meno quando ci si trova in situazioni ingestibili per affrontare le quali non si hanno gli strumenti e le competenze opportune, rischiando soltanto di fare errori.

Abbiamo posto alcune domande ad Alessandro Poiré, psicologo, psicoterapeuta, sessuologo clinico, chiedendogli innanzitutto se conferma la tendenza di un maggiore ‘successo’ del ruolo dello psicologo e come è cambiato il suo mestiere rispetto a quando ha iniziato.
“Ho iniziato a lavorare negli anni Novanta - ci ha raccontato - mi avvicinavo alla sofferenza psichica con empatia, inesperienza ed entusiasmo; rispetto ad allora sono cambiato io, è cambiato il mondo ed è cambiata completamente la percezione della professione di psicologo. Un adolescente che veniva nel mio studio tendeva a vedere se stesso come una eccezione. L’atteggiamento genitoriale poi era molto diverso: ci si approcciava all’idea che il proprio figlio avesse bisogno di uno specialista, di un “clinico della mente” come ad una anomalia, a tratti come ad un lusso che ci si poteva concedere. Da dieci anni almeno essere adolescenti è considerata una fase della vita meritevole di un aiuto; questo alleggerisce il vissuto dei ragazzi e anche il lavoro del terapeuta che non deve più autolegittimare il proprio intervento”.

Quali sono le patologie di cui soffrono di più oggi gli adolescenti e quale rapporto può esserci con la pandemia e in particolare il periodo che li ha visti costretti a casa senza vivere la socialità?
Le patologie legate al ritiro sociale, alla chiusura, alla perdita di competenze sociali erano in aumento prima della pandemia e sono esplose a causa del lockdown; gli adolescenti sono la popolazione che più ha patito la perdita di contatti personali e sociali: crescere senza il gruppo dei pari è inumano. Oltre alle patologie esplose in rapporto diretto con la gestione della pandemia assistiamo ad un diffuso disagio legato alla propria identità, ad una più difficile maturazione di sé come persona. Sono più frequenti le problematiche connesse con la sessualità che impattano precocemente su ragazze e ragazzi e sulle loro famiglie.
Non posso non citare la profonda e continua mutazione digitale del mondo, che ha fatto sì che si scavino fossati e si registrino importanti variazioni nel giro di pochi anni: una tredicenne di oggi ha un vissuto e un rapporto radicalmente diverso con i social media da quello che aveva una tredicenne nel 2012: dieci anni sono diventati un’era geologica.

Ma, se tutto cambia, cosa resta inalterato?

Direi che costruire un legame esclusivo con una sintonizzazione intersoggettiva unica e speciale resta un tema cruciale: amare, essere amati, conoscere come si ama. Anche per riuscire a rispondere con forza e competenza all’evoluzione della psicopatologia abbiamo deciso con alcuni colleghi di ‘fare rete’ e fondare un’unica realtà (Il Centro Clinico San Giorgio), per dare un segnale all’esterno e per avere un simbolo potente di unità di intenti e di lotta contro il “drago” della sofferenza emotiva.

Che cosa c’è dietro a gesti esasperati da parte dei giovani, di cui purtroppo si sente parlare frequentemente, come episodi di autolesionismo fino ai tentativi di suicidio?
L’adolescenza è un periodo di crescita e consolidamento delle competenze nella regolazione delle proprie emozioni e delle relative disposizioni comportamentali; aumentano le risorse cognitive della persona, nel frattempo però le emozioni si fanno più intense e caotiche e molto più difficili da gestire. Possono emergere comportamenti nuovi ed estremi come appunto l’autolesionismo; quando un figlio si fa del male scuote nel profondo il sistema familiare. Per riuscire ad orientarsi è necessario compiere una rivoluzione copernicana: non indagare le cause ma cercare di comprendere la finalità. Sono le finalità che disegnano il senso del comportamento.

Cosa vuol dire, cosa manifesta un adolescente che compie un atto estremo come tagliarsi?

A volte si tratta di episodi isolati, a volte questi gesti si susseguono in una ripetitiva serie che appare una strada senza uscita, un incubo per il ragazzo e per i genitori. E’ lo psicoterapeuta che viene in aiuto del minore e dalla famiglia per leggere la situazione, per discernere sul piano sintomatologico tra differenti livelli di complessità e di gravità, collaborando con altre figure: neurologo, neuropsichiatra, psichiatra nel caso in cui occorra un supporto farmacologico. Due parole infine sulle condotte suicidarie; si tratta di un tema delicatissimo ed in un certo senso “riservato” anche per la rilevanza dell’emulazione in tali gesti: rappresentarsi la fine della propria vita ed avviarsi in quella direzione è qualcosa di estremamente drammatico verso cui è necessario porre in atto azioni preventive, identificando i fattori di rischio.

In che modo la famiglia può intervenire per dare un aiuto ai propri ragazzi, specialmente nel caso in cui lo rifiutino?
Essere respinti dai propri ragazzi fa parte della grande sfida di essere genitori: improvvisamente non li capiamo più, i loro occhi sono rivolti verso un mondo da cui siamo esclusi: vivono per gli amici, per il futuro che verrà, il loro sguardo ci attraversa e, giustamente, ci oltrepassa. Si apre un cammino di incomprensioni e conflitti più o meno aperti. E’ necessario continuare ad esserci, ad essere con loro in un modo nuovo e in un mondo in cui nessuno può consigliarti un manuale di istruzioni semplicemente perché il manuale non esiste. E’ frequente e direi “normale” che i ragazzi ricerchino un appoggio fuori dalla famiglia e respingano l’aiuto genitoriale che spesso viene percepito come stringente, stonato, fuori luogo.
E’ invece raro che i ragazzi non accettino un aiuto esterno.
Lo psicoterapeuta che si avvicina ai ragazzi è un compagno di viaggio che l’adolescente deve poter scegliere; la famiglia va coinvolta nella ritessitura della trama di una biografia che si è inceppata, nella ricostruzione di un senso che si è smarrito tra sofferenze, allarmi, contrasti.

Quindi cosa può fare la famiglia?

Chiedere l’aiuto di uno psicoterapeuta ma soprattutto non mollare, mai!

Fonte: Il Cittadino
Adolescenti, famiglia e accompagnamento psicologico: quali soluzioni?
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