Al cinema - L’ombra di Caravaggio
Regia di Michele Placido
Interpreti principali: Riccardo Scamarcio, Louis Garrel, Isabelle Huppert, Micaela Ramazzotti, Alessandro Haber. Durata: 120 minuti.
Nel 1609 il pittore Michelangelo Merisi, condannato alla decapitazione per aver ucciso il rivale Ranuccio, si rifugia a Napoli in attesa e nella speranza che giunga la grazia da parte del papa Paolo V e aver salva la vita. Nel frattempo un emissario di Paolo V, indaga nella vita del pittore per avere prove della sua colpevolezza e della sua dissolutezza.
Sul genio di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, non si sono misurati molti registi, qui ricordiamo solo i più noti: nel 1941 il regista Goffredo Alessandrini dirige "Caravaggio, il pittore maledetto", interpretato da Amedeo Nazzari e Clara Calamai; nel 1986 Derek Jarman vinse l'Orso d'Argento a Berlino con "Caravaggio"; ricordiamo ancora la miniserie televisiva di Angelo Longoni del 2008 con Alessio Boni nei panni del pittore e nel 2018 il documentario di Sky “Caravaggio. L’anima e il sangue” di Jesus Garces Lambert. Non poteva che suscitare curiosità dunque la regia di Michele Placido.
Costruito come un thriller, il punto di forza dell'opera sta soprattutto nella fotografia diretta da Michele D’Attanasio, che riesce a trasporre nella scenografia le luci e le ombre dei dipinti del Caravaggio.
Detto questo il risultato lascia quanto meno perplessi: tra flash back che coprono gli anni dal 1600 al 1609, il pittore risulta semplicemente un sorta di rockstar ante litteram, artista maledetto e incompreso, ogni tanto cita il Vangelo e immerso in un universo fatto di miseria e prostituzione, ogni tanto si impietosisce per qualche poveretta, senza peraltro impedirsi di approfittarne.
Non mancano alcune incursioni in luoghi e botteghe dove incontriamo santi e artisti: tra questi san Filippo Neri presso Santa Maria in Vallicella, dedito a raccogliere i più miseri; od Orazio Gentileschi e sua figlia Artemisia, interrogati anch'essi dall'emissario del papa.
Su tutto emerge però un compiacimento da voyeur nel ritrarre la dissolutezza e la violenza, senza mai far emergere, se non in modo assai superficiale, il lavoro di Caravaggio, il quale a sua difesa sa solo dire che lui dipinge la verità (in pratica non pronuncia altro); lo stesso linguaggio, decisamente triviale, tra una rissa e l'altra è coerente con un personaggio da "Romanzo criminale" più che per un uomo del '600.
Per fortuna allo spettatore rimane la bellezza dei quadri di Caravaggio e alcuni camei come quello di Alessandro Haber nella parte di un mendicante e al quale il pittore dona il volto di Pietro.
Misurata rimane l'interpretazione di Isabelle Huppert nella parte di Costanza Colonna, mentre il cardinale Scipione Borghese, appare come un inetto.
Film di grande ritmo, con incursioni musicali contemporanee, didascalico; il soffermarsi fin troppo compiaciuto su certe immagini, lo rendono problematico e adatto ad un pubblico preparato e maturo.
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