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Catechesi nell'arte - I discepoli di Emmaus

Magnifica rappresentazione in due tele del Caravaggio 

Catechesi nell'arte - I discepoli di Emmaus

L'episodio evangelico di Emmaus è stato variamente raffigurato dagli artisti nel corso dei secoli, e proprio la sua particolare iconografia ha rispecchiato le tensioni spirituali ed il contesto sociale delle varie epoche. Nel Medioevo la ricerca di Dio e l'aspirazione a ritrovare dentro di sé Cristo, conducono l'uomo ad un percorso, un itinerario, che non è solo un cammino terreno ma soprattutto spirituale. L'epoca di mezzo ci consegna la più antica immagine della narrazione di Emmaus: nella basilica benedettina di Sant'Angelo in Formis, vicino Capua, tra le molteplici immagini del meraviglioso e vasto ciclo di affreschi dell'XI secolo, viene raffigurato Gesù Cristo in cammino affiancato da due personaggi. L'episodio è noto come "Gesù ed i Pellegrini di Emmaus".
Nel Rinascimento l'uomo è tornato cosciente dei propri mezzi e la Filosofia, soprattutto platonica, e la Teologia trovano comune terreno nella storia della Salvezza dell'umanità. Gli artisti elaborano meravigliose composizioni, dove la raffinata bellezza delle immagini, la costruzione prospettica, sono al servizio della forza del messaggio divino. È di Pontormo la "Cena in Emmaus" del 1525 (Firenze, Uffizi). La scena, che risponde ad un perfetto equilibrio, è impostata su un'atmosfera sospesa e sacra, resa dal sapiente utilizzo di una cromia sfumata e pastosa: Gesù è posto frontalmente, come se guardasse aldilà del quadro, mentre i due discepoli sono disposti simmetricamente ai lati.

Tutto si concentra sul gesto benedicente del Signore, suggellato dalla presenza in alto di un cerchio luminoso con un triangolo, simbolo della Trinità. L'opera era destinata al refettorio della foresteria o alla dispensa della Certosa del Galluzzo, vicino a Firenze, per questo conteneva un tema particolarmente appropriato per il luogo in cui si accoglievano e rifocillavano gli ospiti.

Qui si era infatti rifugiato il pittore stesso nel 1523, per scampare alla peste, vivendo la vita dei monaci, silenziosa e solitaria, particolarmente adatta al suo carattere introverso. L'opera è una delle pochissime firmate e datate dell'artista, su un cartiglio abbandonato sul pavimento in primo piano. Pontormo rappresentò l'attimo della benedizione del pane, in un ambiente scuro con al centro la tavola imbandita, dall'orizzonte particolarmente alto, che crea un effetto incombente sullo spettatore. Gesù è posto frontalmente, girato verso lo spettatore, e i due discepoli sono ai lati, uno di profilo e uno a profilo perso alla base di un'ipotetica piramide compositiva. Se uno, Luca, è intento a versare il vino dalla brocca al bicchiere, l'altro, Cleofa, a destra, sospende il taglio della pagnotta col coltello e si rivolge a Gesù, nell'istante della rivelazione che inizia a palesarsi e che lui sembra iniziare lentamente a capire. Lo schema, simmetrico e organizzato attorno al gesto di benedizione di Gesù, si diffonderà nella pittura successiva. In alto si manifesta il cerchio luminoso con il triangolo e l'occhio, un'allusione alla Trinità e un riferimento alla natura divina di Gesù risorto.

Un altro artista del 500’ Jacopo dal Ponte, detto il Bassano, rappresenta l’episodio nel Duomo di Cittadella dividendo la scena in due momenti: a destra scorgiamo l’incontro dei discepoli lungo il cammino, al centro la scena principale attorno alla mensa nel momento in cui la convivialità dei commensali è per così dire immortalata nel gesto benedicente il pane di Gesù. In lontananza il cammino dei discepoli affiancati da un viandante che si racconta e ascolta: un compagno di viaggio che scalda il nostro cuore con le sue parole, che diventa un amico da invitare con insistenza a fermarsi casa nostra per la cena. Attorno alla tavola ben preparata per l’ospite, la relazione si rafforza e un gesto familiare dello spezzare il pane svela l’essenza della comunione , della condivisione. E così la grazia di un segno fa sì che gli occhi dei discepoli si aprano e ci svelino una presenza che non lascia mai il loro cammino e il nostro, il Cristo.
Nel Seicento il clima culturale e spirituale è cambiato, siamo in piena Controriforma e muta quell'equilibrio tutto rinascimentale tra classicismo e cristianesimo, tra Dio e uomo.

L'artista che meglio interpreta questo momento è Michelangelo Merisi detto Il Caravaggio. Anche questo artista si confronta con la “Cena in Emmaus”, con ben due versioni: la prima del 1601 (Londra, National Gallery) e la seconda del 1606 (Milano, Brera). In entrambi i dipinti la scena è ambientata in un luogo scuro e povero, appena illuminato dalla luce che ha potere di redimere. Il Cristo della tela londinese è un giovane imberbe, rimando all'eterna giovinezza del Signore, e benedice il pane ed il vino sul tavolo, in un esplicito rimando alla mensa eucaristica. Cleofa, con la conchiglia di Santiago puntata sul petto, lo ha riconosciuto e allarga le braccia richiamando la Croce. Il pane, spezzato irregolarmente, rammenta un gesto naturale e reale, ma anche di forte valenza dottrinale: evidenzia la dimensione umana del Cristo e la sua funzione salvifica nella storia.

Ilaria Brigati

Nella foto: Jacopo-da-Ponte, La cena di Emmaus, Sacrestia del Duomo di Cittadella

Fonte: Il Cittadino
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